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L’agricoltura solidale per iniziare una vita nuova.

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Villa Florio-Pignatelli
Villa Florio-Pignatelli. Immagine da: https://iris.unipa.it/bitstream/10447/61930/1/Pignatelli.pdf

Seminare e coltivare la terra per cercare di rialzarsi e riprendere in mano la vita. E’ questo lo spirito con cui lavora la comunità di 50 senza dimora, italiani e stranieri, che da due anni vive nell’ampia area verde di 17 ettari della ex storica residenza estiva villa Florio comprensiva dell’ex istituto Pignatelli che la curia di Palermo ha dato in gestione alla Missione Speranza e Carità fondata dal missionario Biagio Conte. Con l’impegno di tutti gli ospiti accolti, infatti, si riescono a produrre, senza l’uso di pesticidi, una quantità più che sufficiente di verdure, ortaggi e agrumi che servono a sostentare tutte le sedi della Missione della città che ospita complessivamente circa 1200 persone tra uomini e donne senza casa.

In questo terzo anno il lavoro da fare nell’ampia area dove insistono quattro strutture è ancora tantissimo. Tre dormitori sono rispettivamente stati ricavati finora nell’edificio delle ex stalle, nel primo piano dell’ex istituto Pignatelli e in un’altra piccola struttura. La storica villa appartenuta alla famiglia Florio, vandalizzata da parecchio tempo, richiederà, invece, un lavoro economico di restauro molto lungo nel rispetto di tutti i vincoli culturali, che in questo momento la missione non può sostenere. Quest’anno, comunque, si inizierà dal recupero della sua antica cappella e durante l’anno anche della ristrutturazione del secondo piano dell’ex istituto Pignatelli che ospita in questo momento 20 persone. All’interno della missione, tutti contribuiscono con ruoli diversi a portare avanti l’agricoltura solidale in attività di bonifica, aratura, coltivazione e raccolta del seminato. Attualmente, tramite l’Uepe, svolgono la loro attività anche sei detenuti in misura alternativa.

Non sono mancate fino a questo momento le donazioni di attrezzature agricole professionali, di semi e piante nuove ma anche il sostegno economico e di vario livello continuo di vari benefattori. Il responsabile di questa missione è il salesiano padre Pino che viene sostituito quando ha altri impegni da Bruno di 58 anni. “Quando siamo arrivati questo luogo era una vera e propria giungla – racconta Bruno -. Nella parte vicino alla villa, la faticosissima pulizia del terreno è stato un crescendo di scoperte affascinanti come fontane e quant’altro. Oggi possiamo dire che in buona parte la missione sta diventando un luogo splendido ‘benedetto da Dio’ perchè la terra è molto fertile. Ognuno degli ospiti, attraverso piccole reponsabilità, si sperimenta per intraprendere un cammino di vita nuovo. Impegnare chi è stato ferito da vari eventi della vita è il principio fondamentale su cui crediamo. E la bellezza e proprio questo: seminare, crescere e andare avanti per migliorarsi come il ciclo della natura ci insegna”. Bruno che nella sua precedente vita faceva il rappresentante, pur provenendo da una famiglia borghese, dopo qualche errore di percorso, ad un certo momento ha deciso di lasciare il mondo esterno per rimanere in questa missione. “Anch’io sono stato accolto – dice con gli occhi molto espressivi nascosti dagli occhiali -. A poco a poco impegnandomi ho conquistato quella fiducia necessaria per la quale oggi coordino le diverse attività degli ospiti. Il rapporto umano è al centro di tutto e per me, oggi, rendere felice gli altri attraverso la risoluzione di piccole cose – racconta ancora – è un gioia immensa che scopro ogni giorno”. “Tra gli accolti abbiamo anche 15 giovani immigrati che lavorano molto bene la terra e che aiutiamo anche nello svolgimento di tutte le fasi che riguardano il permesso di soggiorno – continua Bruno -. Inoltre, riusciamo a seguire anche dal punto di vista sanitario tutti gli ospiti grazie alla collaborazione con Emergency. Tra i nostri desideri maggiori c’è quello di recuperare presto uno spazio ricreativo chiuso dove organizzare giochi di relazione, proiezioni di film e altre iniziative. Siamo certi che presto ci riusciremo. Anche se il cammino è lungo siamo consapevoli di essere nella strada giusta”.

A raccogliere la verza, nella freddissima mattina invernale, troviamo l’infaticabile Dimitri, un ucraino che ama molto coltivare la terra. L’uomo che ha fatto studi di agraria, dopo alcuni eventi tragici della sua vita, ha deciso di contribuire con il suo impegno alla missione. “Sono una persona che parla poco perchè mi piacciono i fatti. Nel mio Paese non c’è lavoro – dice – e ho deciso di rimanere qua perché mi piace molto quello che faccio. Rendermi utile mi fa stare molto bene”.

Nella casetta di legno della portineria esterna c’è invece il signor Gino di 58 anni che dopo aver perso il lavoro di fabbro ha avuto altre conseguenze pesanti nella sua vita di cui preferisce non parlare. “Non avendo dove andare – racconta in maniera serena – padre Pino mi ha proposto di vivere in questo luogo. Sono stato accolto subito e adesso dopo due anni si è creata una bella famiglia. Siamo tutti nella stessa barca e certamente si vorrebbe andare sempre a migliorare ma in questo momento è importante accontentarsi”. Tra gli ospiti c’è anche Rocky che ci accoglie con un grande sorriso mentre è intento a trascinare una carriola con alcuni rifiuti. “Sono orfano e non ho più nessuno. Mi è rimasto questo nome – dice sorridendo – per il mio passato un poco movimentato ma adesso invece mi sento una persona diversa. Dopo 25 anni che sono in missione ora sono con i fratelli di questo luogo. Il mio desiderio però, anche se ho quasi 60 anni, è quello di trovare un lavoro ‘fuori’ che mi permetta di potere vivere insieme alla compagna che ho conosciuto da poco”. In cucina ci sono, infine, un siriano e due italiani intenti a preparare il pranzo. “Il bisogno mi ha fatto scoprire di essere utile agli altri – spiega pure Nicola -. In attesa di trovare di meglio in questo posto sto bene”. Il più saggio di tutti, invece, è Felice di 67 anni originario della Costa d’Avorio. “Felice, uomo di tante esperienze di vita e che attualmente è il responsabile degli attrezzi agricoli, ha sempre una parola profonda e significativa per tutti – conclude Bruno – da cui si può imparare davvero tanto”.

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