Il passo del Vangelo – Mt 11, 25-30
25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Il Regno inaspettato
Il Vangelo di questa XIV domenica del tempo ordinario ci presenta Gesù come maestro e rivelatore dei misteri del Regno, un Regno che ha delle qualità inattese, così come Colui che lo annuncia.
Già nella prima lettura, il profeta Zaccaria, dopo l’esperienza della deportazione in terra straniera, annuncia ad Israele l’arrivo di un Messia, inviato da Dio.
Il Messia presenta delle caratteristiche non rispondenti alle tradizionali categorie del potere: è un re mite e umile, che porta pace e giustizia su tutte le nazioni.
La giustizia, nell’Antico Testamento, è attributo proprio di Dio, in riferimento alla salvezza: Dio è giusto perché salva.
Il re escatologico, fedele al mandato ricevuto da Dio, esercita la giustizia intervenendo a favore dei poveri e degli oppressi, degli orfani e delle vedove e di tutti coloro che non sono in grado di difendersi. È un re che salva, avendo sperimentato l’azione di Dio che lo ha protetto dai suoi nemici e gli ha permesso di prevalere. È un re umile e mite, che cavalca un asino, non un re guerriero; è un re pacifico protetto da Dio.
Il profeta Zaccaria diviene così portavoce dell’attesa messianica escatologica di alcuni circoli d’Israele, che associano la figura del Messia non più al dominio militare, ma all’umile servizio: il re Messia rifiuta la mondanità avida, che tende al potere e condivide la vita umile del suo popolo.
Messia dei poveri
Nella pericope matteana, Cristo, dopo avere riscontrato soprattutto nelle classi dominanti, lo scarso successo della sua predicazione (cfr. Mt 11,20-24), lodando il Padre, ritorna sul tema della piccolezza già proposto nelle beatitudini sui poveri, sui miti e sui pacificatori.
Per l’evangelista, Gesù stesso è il primo dei “poveri”, degli anawîm, di coloro che possono fare affidamento su Dio come loro unica risorsa.
I sapienti e i semplici
A una prima lettura la contrapposizione tra sapienti e intelligenti da una parte, e persone semplici dall’altra, può risultare scandalosa; il testo però non si riferisce a individui concretamente identificabili ma a determinate qualità. Al tempo di Gesù erano considerati sapienti e intelligenti coloro che erano esperti nella Legge, che conoscendo ogni più piccola sfumatura potevano adempiere ad essa scrupolosamente. Tale metodica osservanza poteva però portare i fedeli strettamente osservanti a un eccessiva sicurezza in se stessi e al disprezzo verso tutti coloro che ignoravano o non osservavano la Torah.
Il giogo del legalismo
A queste persone, che vivono la religiosità come legalismo, Gesù contrappone i piccoli, coloro che agli occhi del mondo sono privi di difesa ma anche semplici. Nell’Antico Testamento, soprattutto nei salmi, i semplici sono sotto la protezione di Dio, ad essi il Signore si rivela, dona sapienza (cfr. Sal 18,8), e intelligenza (cfr. Sal 118,130), li protegge e li difende (cfr. Sal 114,6). Essi hanno conosciuto il Padre perché hanno accolto il suo amore. “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi”.
Rispetto alla fatica del giogo della legge mosaica, con i suoi 613 precetti da osservare – che mi mette davanti alla mia incapacità -, Gesù mi offre la possibilità di non scoraggiarmi e di riprendere fiato, di imparare da Lui che mi mostra non un Dio pronto a condannare, ma un Dio che sta dalla parte dei poveri e degli oppressi, un Dio che mi ama e che mi rivela che, con lui, anche io posso imparare ad amare sempre più e sempre meglio.
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