“Mi sono emozionato”. Così diciamo. E intendiamo una scarica, un picco, un brivido tanto più intenso quanto più circoscritto e passeggero. L’emozione è una felice intermittenza, che ci regala attimi di eternità. Come quando tocchiamo, per la prima volta, le mani della persona di cui ci siamo da poco innamorati (Stendhal).
Pur essendo occasionalmente collegata alle “emozioni”, la “passione” è altra cosa.
“Ho una passione” per la musica, diciamo, o “per la tua ironia, la tua bellezza, la tua generosità ecc”. Rispetto all’emozione, la passione è più radicata e stabile, e, a dispetto della radice della parola (da “πάσχειν”, “subire”), non è, come l’emozione, qualcosa di tendenzialmente passivo che ci accade e che, poi, va via, ma una spinta che ci orienta verso ciò che la suscita, costringendoci a volerlo e a desiderarlo costantemente.
Scrive Kant: «l’emozione agisce come un fiotto che rompe una diga, la passione come una corrente che si scava sempre più profondo il suo letto» (Antropologia pragmatica, §. 74).
Ed è proprio per questo che mentre le emozioni sono standardizzate e un po’ uguali per tutti, perché non impegnano ciò che di unico e irripetibile c’è in noi, la passione, “scavandoci a fondo”, ci caratterizza per ciò che siamo. Dimmi per cosa o per chi hai passione, insomma, e ti dirò chi sei.
Emozione, allora, o passione? Può accadere che la prima sia ricercata come surrogato della seconda. Chi è alla continua ricerca di emozioni, in fondo, lo fa perché non c’è nulla che realmente lo appassioni. Scrive Nietzsche: «La nostra epoca è un’epoca di sovraeccitazione, e proprio per questo non è un’epoca di passione; si surriscalda continuamente perché sente di non essere calda. Nel suo fondo prova gelo» (Frammenti postumi, 248).
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