16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
La cosa sacra noi uomini la portiamo
soltanto in un fragile vaso d’ argilla.
Ma tu, o santo Spirito, quando abiti in un uomo,
abiti in qualcosa di infinitamente inferiore.
Tu, Spirito di santità,
abiti in mezzo all’immondezza e alla contaminazione!
Tu, Spirito di sapienza,
abiti in mezzo alla stoltezza!
Tu, Spirito di verità,
abiti in mezzo all’inganno di se stessi!
Rimani con noi, tu che non cerchi
e cercheresti invano una dimora confortevole;
tu che, creatore e rigeneratore,
fai da te stesso la tua dimora,
rimani con noi!
Che almeno una volta possa dirsi
che ti compiaci di questa dimora
che tu stesso ti sei preparata
in questo mio contaminato,
perverso e fallace cuore.(Søren Kierkegaard)
Dopo la Resurrezione, il nuovo modus operandi della presenza di Gesù, volto del Padre, nella Chiesa è nello Spirito. Come già evidenziato nel commento al vangelo della domenica precedente, Gesù diviene concretamente presente ed efficace nella nostra storia attraverso lo Spirito, una presenza amica che si affianca (paraclito) all’uomo impegnato insieme ai suoi fratelli alla ricerca del volto di Dio. La presenza dello Spirito è proprio il riconoscimento che nella compagnia animata dai fratelli e dalla Parola vi è Gesù, icona del Padre.
La liturgia domenicale per la festa della Ascensione per l’anno A presenta l’epilogo del Vangelo di Matteo, epilogo in cui l’evangelista consegna al lettore una sintesi finale della sua teologia.
All’esito della morte e resurrezione di Gesù, il Maestro è ora divenuto “Kyrios” nella fede dei discepoli che si sono radunati sul monte (luogo biblicamente deputato alle rivelazioni) sulla Parola di Gesù, che in tal senso li aveva comandati.
Il gruppo dei discepoli ha ascoltato la Parola di Gesù, lo ha riconosciuto in cima al monte e lo ha adorato (la orientale proskunesis è segno che lo confessano come Signore risorto), ma è attraversato dal dubbio. Un dubbio che non è segno di ipocrisia devozionale, né tantomeno elemento incompatibile con le attività tipiche di ogni fedele (ascolto della Parola, liturgia, preghiera), proprio perché attinge al mistero grande del cuore umano e alla – troppo spesso sottovalutata – incredulità che alberga nell’animo di ogni credente. Nessuna attività religiosa ed, in fondo, nessuna attività profondamente umana è al riparo dal dubbio. Il dubbio che ciò che si crede sia davvero realtà, il dubbio che le promesse di vittoria sul male che domina il mondo siano davvero mantenute e che il male e la morte non abbiano alla fine l’ultima parola. Era un dubbio non ignoto alla comunità matteana che, a differenza dai cristiani della prima ora, cominciavano a sperimentare un ritardo significativo della venuta finale promessa da Gesù: Egli verrà come ha promesso a ristabilire la giustizia?
È lo stesso dubbio che può attraversare ogni credente a distanza di duemila anni dalla venuta di Gesù e che appare inaccettabile solo alle orecchie aduse a sbandierare certezze identitarie, perché porta con sé il riconoscimento di essere fragili come il vaso di argilla della preghiera allo Spirito di Kierkegaard sopra riportata.
Il Gesù di Matteo non elude il dramma del dubbio, ma lo affronta attraverso una conferma, un comando ed una rivelazione: la conferma è che l’autorità di Gesù è universale e permetterà di coniugare il cielo e la terra, il piano di Dio e l’umanità segnata dal rifiuto di Dio; il comando è quello di non restare soli e autoreferenziali, ma di entrare in relazione con “le genti”, ossia con coloro che non hanno conosciuto Gesù (o che ne hanno una falsa idea), immergendoli (baptisantes) proprio in una autentica realtà trinitaria, nel dinamismo della fede in continua ricerca del volto di Cristo tra i fratelli; la rivelazione, forse essenziale perché si possa realisticamente portare a compimento ogni comando, è che proprio in questo dinamismo godremo della compagnia di Dio, del Figlio e dello Spirito fino alla fine dei tempi.
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