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La libertà di pensiero e la fede degli altri

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Ancora violenza per le vignette di «Charlie Hebdo»

Ancora una volta, a più di cinque anni dal massacro dei giornalisti di «Charlie Hebdo», la vicenda delle vignette su Maometto segna il tragico esplodere del fanatismo islamico, con l’assassinio del professore francese, decapitato a Conflans-Sainte-Honorine, nella periferia di Parigi, per aver mostrato ai suoi studenti quelle vignette in un corso sulla libertà di espressione.

Libertà vs oscurantismo

E tuttavia, al di là dell’orrore per questo atto assurdo, sarebbe forse opportuna una riflessione sul significato di ciò che è accaduto e sulle reazioni che – allora, come oggi, sono state non solo di commossa solidarietà per le vittime, ma anche di orgogliosa celebrazione del valore in nome del quale esse sono cadute: la libertà di pensiero.

«Uno dei nostri compatrioti è stato assassinato oggi perché ha insegnato la libertà di credere o di non credere», ha dichiarato il presidente francese, Emmanuel Macron. E, riferendosi all’assassino: «Voleva abbattere la Repubblica, l’Illuminismo, la possibilità di rendere i nostri figli cittadini liberi. Questa battaglia è nostra. Non riusciranno a passare (…). L’oscurantismo e la violenza che lo accompagna non vinceranno, non ci divideranno».

La sola fede che oggi ci unisce

Sono gli stessi toni che nel 2015 echeggiarono, non solo in Francia, ma in tutti i Paesi europei. Furono moltissimi, allora, a gridare lo slogan «Je suis Charlie». Non è solo una convinzione: è una fede. La reazione unanime che, senza eccezioni, ha unito, allora come oggi, i cittadini di questa Europa secolarizzata e disincantata, rivela che la fede non è stata sostituita del tutto da un cinico utilitarismo, come hanno spesso sostenuto degli osservatori che usavano come unico parametro le religioni tradizionali. È la fede nella libertà.

La logica dell’insulto

Eppure, forse bisognerebbe cercare di capire perché un valore così alto abbia potuto suscitare una reazione di odio tanto violenta. In effetti pochi parlano del contenuto delle vignette satiriche di «Charlie Hebdo». Quelle su Maometto lo ridicolizzano, ma soprattutto lo offendono. Come quella, per esempio, che lo rappresenta nelle sembianze di un maiale (animale, tra l’altro, che l’islam ritiene impuro).

In effetti, i loro autori erano specializzati nel deridere, nel modo più volgare e provocatorio, le fedi altrui. Ne ho avuto sotto gli occhi una dove le persone della Trinità cristiana erano raffigurate nell’atto di avere un amplesso sessuale a tre, con organi genitali bene in vista e nell’atto della penetrazione reciproca. Devo dire che non solo non mi ha fatto ridere, ma mi ha spinto a domandarmi chi – credente o meno – potesse divertirsi davanti a quelle immagini oscene. Una critica? Se c’era, era mascherata dall’irrisione della bestemmia.

Noi cristiani non spariamo a chi ci dà uno schiaffo, porgiamo l’altra guancia. E condanniamo con fermezza ogni forma di violenza. Ma non posso non pensare che è ben misera una libertà di pensiero e di espressione che si esercita offendendo gratuitamente la fede degli altri.

Troppa libertà, o troppo poca?

Forse il problema della nostra cultura dominante non è, come dicono alcuni, di avere adottato un’idea troppo ampia di libertà, ma, al contrario, di averne una troppo ristretta. Ridotta alla pura e semplice autonomia individualistica, questa libertà diventa autoreferenziale e si trasforma in un buco nero, che inghiotte ed annulla tutto il resto. E la fede in essa assume, paradossalmente, la forma di una religione rigorosamente monoteista, il cui idolo non ammette la concorrenza di altre divinità senza sentirsene minacciato.

Una libertà che diventa un idolo

Senza negare la libertà come autonomia, è urgente riscoprire quelle sue forme, oggi dimenticate, che consentono alla stessa autonomia di avere il suo pieno significato. La libertà non è fine a se stessa. Quando si eleva a valore esclusivo si suicida. Si è liberi per qualcosa che non è la libertà stessa. Eliminare ogni valore, almeno ipotetico, che la superi e verso cui essa possa tendere, significa condannarla a vagare nel nulla. Come oggi avviene nella società consumistica, che fa credere alle persone di essere libere perché possono fare e soprattutto comprare quello che le mode e la pubblicità di volta in volta propongono, salvo a sostituirlo l’anno successivo.

Apertura alla verità e rispetto

In quest’ottica essere liberi significa essere aperti alla ricerca della verità, ovunque essa si presenti, smascherando le falsificazioni presenti in tante false credenze, ma senza escludere di trovare in esse anche qualcosa di valido. Questo implica che, pur senza condividerle, si rispettino le convinzioni degli altri. Anche quelle che non si condividono. Anche quelle religiose.

Come insegnava un grande intellettuale laico, Norberto Bobbio, c’è un abisso tra la laicità, che rivendica il diritto di non credere, e il laicismo, che contesta quello di credere e deride la fede altrui.

Il vuoto insostenibile dell’indifferenza

Queste considerazioni ovviamente non diminuiscono di un grammo il peso della mia condanna per chi ha risposto a questa violenza intellettuale con una fisica immensamente più grande. Esse mirano soltanto a incrinare la totale indifferenza dell’opinione pubblica occidentale nei confronti di ciò che la “sua” libertà colpisce e distrugge.

Anche dal punto di vista di chi si proponesse di fronteggiare l’islam come un nemico incombente, secondo la logica dello “scontro di civiltà”, una strategia che desertifica, dal punto di vista spirituale, il nostro continente, è una follia. Agli eccessi del fondamentalismo non si può illudersi di rispondere con il vuoto. Dovrebbe far riflettere la triste esperienza di tanti giovani europei che, in un recente passato, sono andati a combattere per l’Isis, perché si sono trovati a scegliere tra il fanatismo di quella realtà politico-religiosa, che comunque prometteva un senso alla loro vita, e il nulla.

Perciò condivido lo sdegno del presidente Macron e di tutte le persone civili per il barbaro omicidio di Conflans-Sainte-Honorine. Ma rivendico il diritto di dire che una libertà che si crede tale solo quando distrugge con una risata ciò che non è lei stessa non mi basta, anzi mi fa paura.

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