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Lo specchio inquietante

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 di Giuseppe Savagnone

 

E alla fine la montagna partorì… il topolino! La cosiddetta “cultura di sinistra” – sicuramente la più accreditata e pervasiva, nel nostro Paese, fin dai tempi della “Prima Repubblica” – dovrebbe forse interrogarsi sul fatto che, dopo essere stata per vent’anni impotente di fronte allo strapotere politico di Berlusconi, ora che la stella di quest’ultimo tramonta  non sia in grado di contrapporgli altra alternativa che Matteo Renzi. Perché il modello che Renzi impersona oggi sulla scena pubblica – quale che possa essere la sua futura capacità effettiva di governare questo Paese, su cui parleranno i fatti  – si presenta come la controfigura, anche se molto più giovane, di quello berlusconiano. La stessa mancanza di idee, mascherata con slogan accattivanti, la stessa enfasi autoreferenziale, lo stesso indiscreto protagonismo, la stessa impazienza di essere al centro dell’attenzione, la stessa ansia di scalare il potere, la stessa irresistibile tendenza a contraddirsi e a mentire, a seconda delle circostanze, e lo stesso ostinato rifiuto di ammetterlo, la stessa arroganza nei confronti degli avversari. Non è un caso che Berlusconi mostri di ammirarlo, pur criticandolo, e che il primo atto  del nuovo segretario del PD sia stato un’alleanza con lui, che sembrava ormai uscito dalla scena dopo la sua esclusione dal Senato.

Non intendo entrare nel merito delle ragioni – che so benissimo esserci, e forti –  per le scelte fatte da Renzi, da quando si è presentato come “rottamatore” del suo partito, a quando si è accordato con Forza Italia per varare una nuova legge elettorale, a quando  ha scalzato Letta per sostituirlo alla presidenza del Consiglio. Non voglio neppure dare un giudizio  sulla rettitudine della sua coscienza (come non potrei darlo, del resto, su Berlusconi). So che si è formato con gli Scout. Pare che sia personalmente credente. Magari neanche lui è un santo, ma neppure un mostro. Chi lo sa. Le persone, in ultima istanza, le può giudicare solo Dio. A noi uomini compete, però, dare un giudizio sui personaggi, sull’immagine pubblica che le persone assumono e sul ruolo che recitano, sull’idea di fondo che incarnano.

E, da questo punto di vista, il problema è innanzi tutto culturale. E’ di questo che la sinistra – ammesso che questo termine abbia ancora un senso – dovrebbe   essere molto preoccupata. Perché è indubbio che essa in Italia ha avuto e continua ad avere un ruolo rilevantissimo che la prevalenza politica dei suoi avversari non è mai riuscita a intaccare. Basti pensare alle vittorie ottenute nei grandi referendum che hanno segnato la svolta dei costumi nel nostro Paese, quello sul divorzio e quello sull’aborto. Per non dire della continua pressione, sempre più vicina al successo, nelle questioni delle nozze gay e del testamento biologico. E, soprattutto, del clima diffuso di aperta negazione dell’etica tradizionale, in nome del superamento di tutti i tabù e di una liberazione dalle regole e dall’autorità.

Perché, allora, quando questa cultura vittoriosa si guarda allo specchio, il volto che vede è quello di un nuovo Berlusconi? In realtà, non è un’illusione ottica. Perché da molto tempo, ormai, la cosiddetta “cultura di sinistra” coincide, in fondo, con quella della  cosiddetta “destra”. Ad accomunarle è, dopo la crisi del marxismo, la sostanziale ispirazione tardo-liberale, con il suo individualismo proprietario selvaggio e la sua idea di una libertà di pura e semplice autonomia, sganciata da qualunque idea di responsabilità e di comunità.

In questa logica la sinistra si è battuta scandendo slogan come «l’utero è mio e ne faccio quello che voglio». Salvo a scandalizzarsi quando Berlusconi, che l’utero non ce l’ha, ma dispone di altri organi, ha preteso anche lui di fare di essi quel che voleva. In questa logica si è avallata la pretesa di equiparare la famiglia tradizionale a forme destrutturate che cancellavano l’impegno per il futuro, riducendo la convivenza a uno stato di fatto, salvo poi a meravigliarsi perché la stessa regola di irresponsabilità veniva applicata alla più ampia comunità civile e politica. In questa logica si è sostenuto che il bene  e il male, la virtù e il peccato, non esistono, salvo a scoprire che, proprio in nome di questo principio, si consumavano spudoratamente i più gravi abusi nella vita pubblica (corruzione, compravendita di senatori, etc.).

Forse sarebbe ora di farsi venire qualche idea che non sia la rimasticatura retorica di quelle che hanno portato a questo punto. Magari riscoprendola in una tradizione culturale ed etica  di matrice cattolica, che negli ultimi anni anche  i credenti sembrano aver perduto di vista,  ma che potrebbe fornire dei buoni antidoti all’intossicazione collettiva in atto. Da una sua ripresa potrebbero col tempo venir fuori figure più vicine a quelle che all’inizio della nostra storia repubblicana hanno testimoniato la loro serietà e la loro dedizione al bene comune. So che è una mezza utopia. Ma sono le utopie che portano alle grandi novità. E il nostro Paese, oggi più che mai, ha un disperato bisogno di qualcosa di nuovo che non sia il vecchio mascherato.

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