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Maranà tha!

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Introduzione alla lectio divina di Lc 21, 25-28. 34-36.

Domenica 29 novembre 2015 (I d’Avvento) 

 

 

 

 

[25] “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, [26] mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di quello che deve accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. [27] Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. [28] Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

[34] State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; [35] come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. [36] Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.

             

«Amen. Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20)

   

   Subito prima della sua passione e morte e al culmine del suo ministero nel Tempio di Gerusalemme, Gesù conclude il suo insegnamento con il “discorso escatologico”: la distruzione del Tempio, i falsi profeti e le guerre, la persecuzione dei discepoli, la rovina di Gerusalemme e i segni della fine dei tempi.

   Il punto centrale di tutto il discorso è la venuta del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi.

  Non è più in gioco solo il destino personale, la storia singola di ogni uomo che si conclude con la morte, ma il destino cosmico e la storia di tutta l’umanità. La storia del mondo e dell’umanità intera scorre verso un punto d’arrivo, una conclusione, verso una fine e verso il suo fine. È la tensione di una promessa che tende al compimento. Il tempo, nella concezione biblica, non è ciclico, non si ripete in maniera ricorrente tornando al suo punto di partenza, ma si distende lungo una linea formata dagli eventi salvifici che hanno il loro punto di arrivo nell’evento ultimo: la Parusia, il ritorno del Figlio dell’uomo.

   Questo ritorno non passerà inosservato. L’armonia della creazione sarà minacciata, il cielo, il sole, la luna e le stelle subiranno cambiamenti, il mare sarà sconvolto dai flutti e gli uomini saranno in preda alla paura e questo sarà il preludio alla venuta del Figlio dell’uomo. È la simbologia del linguaggio apocalittico che cerca di spiegare come il ritorno di Dio non lascerà nulla come prima.

   È il momento in cui sarà rivelato il senso profondo della realtà presente e, tolto il velo che le paure e il peccato hanno messo davanti agli occhi degli uomini, si potrà vedere quella verità che è la parola ultima e definitiva di Dio sul mondo. Non si sta andando verso la fine di tutto, ma verso il fine, verso il senso profondo di tutto ciò che esiste. Il dissolversi del mondo vecchio è insieme il nascere di quello nuovo. Dio realizza il suo disegno in questa storia con le sue contraddizioni e il male nelle forme concrete che può assumere nell’arco della storia sarà superato in maniera irreversibile.

   Ai grandi sconvolgimenti cosmici e agli uomini che muoiono di angoscia per la paura di morire fa da contrappunto la Parola del Signore che dà fiducia e chiama l’uomo ad alzarsi e levare il capo perché la liberazione, la redenzione è vicina. Si tratta della redenzione messianica nella sua realizzazione piena e definitiva. L’uomo dopo il peccato si lascia guidare dalla paura della morte, Gesù offre l’alternativa di una vita che si lascia guidare dalla fiducia nel Padre in un atteggiamento di dono e di amore che ha già vinto la morte

   Posto prima del racconto della passione il discorso escatologico trova nella croce la sua realizzazione. È il segno della croce ad illuminare tutta la storia che non è altro che un cammino che ha come termine la manifestazione piena della misericordia di Dio che viene incontro all’umanità intera e a tutto il creato. Nello sconvolgimento della storia c’è una presenza di Dio tutta particolare che la orienta a una conclusione positiva che supererà il male e potenzierà all’infinito il bene. Se gli ultimi tempi sono l’incontro della storia umana con Dio, non bisogna dimenticare che il Dio di questo incontro è quello che si è rivelato nella morte e resurrezione di Gesù. L’attesa della Parusia non è altro che l’attesa del Risorto.

   Niente allarmismi e ansie quindi sulla fine del mondo che fanno solo danno prosperando ovunque di fronte a eventi e catastrofi inspiegabili, ma un atteggiamento diverso che chiama gli uomini a protendersi verso l’alto e a essere attenti e vigilanti. Solo chi è attento e vigile potrà scorgere ciò che a molti resta invisibile: la salvezza, il regno, la promessa di Dio si fanno strada in mezzo alle catastrofi naturali e alla incongruenze della storia.

   È l’esortazione che Gesù lascia ai discepoli: vegliate e pregate in ogni momento. Un cuore vigile e attento non si lascia sorprendere da quel giorno come da un ladro di notte, ne è infatti in attesa e ne va preparando l’incontro. Se si sta in attesa, inoltre, non importa il quando, ogni momento andrà bene. Stare attenti e vigilanti permette di non cadere nella paura della morte e nello smarrimento e aiuta nella capacità di discernere gli eventi che accadono. Senza la vigilanza si rischia di vivere nella paura e di rimanere in superficie, senza arrivare alla profondità delle cose, di ciò che accade e di se stessi. Colui che attende e vigila non evade la storia, ma la vive pienamente. È come la civetta che con lo sguardo penetra le ombre della notte cercando di scorgere i segni invisibili della promessa che si compie. La vigilanza è il contrario di un cuore appesantito e la preghiera ne è il nutrimento. E l’unica preghiera che può scaturire da un cuore in attesa è “Vieni, Signore Gesù ! Maranà tha!”

   Attendere il Signore nella vigilanza e nella preghiera significa allora affrettarne la venuta e sperimentare già fin da ora il suo irrompere nella storia personale e comunitaria.

 

Giustina Tocco (Comunità Kairos)

 

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