Questa rubrica vuole porre all’attenzione dei lettori di Tuttavia la capacità della poesia e delle arti figurative di rappresentare l’immaginario delle varie epoche storiche e delle stagioni culturali che si sono succedute nel nostro Occidente a partire dal Basso Medioevo, cioè da quando si è andata costruendo la civiltà delle città e del ceto medio che in esse si è andato affermando. Abbiamo definito pittura e poesia “linguaggi dell’anima” per la loro capacità di coinvolgere in modo integrale chi ne fruisce, ovvero in modo da mobilitare, oltre alla dimensione razionale del comprendere, anche gli aspetti affettivi, emotivi e volitivi dell’esistenza.
A tale scopo saranno sottoposti quindicinalmente dei testi poetici e iconici paralleli, reinterpretati quali “oggetti culturali” per la loro capacità di esemplificare l’immaginario di un’epoca. Alla poesia e alla pittura potrà affiancarsi anche la musica, quando gli autori riterranno di proporre qualche fonte musicale, coeva oppure a noi contemporanea, capace di evocare efficacemente lo spirito dell’epoca trattata. Il parallelismo potrà anche strizzare l’occhio agli insegnanti – quali sono i due autori – che volessero istituire nessi più stringenti tra i vari linguaggi, nella convinzione che i ragazzi amano le contaminazioni e soprattutto si lasciano coinvolgere volentieri nello spazio della creatività e dell’interpretazione.
Percorsi della caducità umana
Poesia e pittura testimoniano, attraverso l’esperienza di Francesco Petrarca e degli artisti che ai suoi Trionfi si ispirarono, l’affermarsi progressivo di una concezione dinamica del tempo, capace di tenere insieme l’allegorismo medievale e la visione progressiva del divenire storico che caratterizzerà l’imminente civiltà umanistico-rinascimentale. Qui offriamo il sonetto Tutta la mia fiorita e verde etade del poeta aretino ed i Trionfi di Francesco Pesellino.
Francesco Petrarca: Tutta la mia fiorita e verde etade, canzoniere CCCXV (dopo il 1348)
Tutta la mia fiorita e verde etade
passava, e ’ntepidir sentia già ’l foco
ch’arse il mio core, ed era giunto al loco
ove scende la vita ch’al fin cade.Già incominciava a prender securtade
la mia cara nemica a poco a poco
de’ suoi sospetti, e rivolgeva in gioco
mie pene acerbe sua dolce onestade.Presso era ’l tempo dove Amor si scontra
con Castitate, e agli amanti è dato
sedersi inseme, e dir che lor incontra.Morte ebbe invidia al mio felice stato,
anzi a la speme; e feglisi a l’incontra
a mezza via come nemico armato.
Questo sonetto appartiene alla parte del Canzoniere di Petrarca che contiene rime composte dopo la morte di Laura. Non è tra i più famosi, ma è emblema di un sentimento che potremmo definire “autunnale”, proprio da autunno del Medioevo, che è il tempo in cui si situa la vita di questo modernissimo poeta.
Tutta la mia giovinezza era ormai al termine e sentivo intiepidirsi il fuoco che infiammò il mio cuore. La mia cara “nemica” cominciava già a non temere più il mio ardore giovanile, e la sua dolce maturità trasformava in gioia serena le mie aspre sofferenze d’amore. Era vicino il tempo in cui Amore si lega alla Castità, e a coloro che si amano è concesso di stare assieme scambiandosi il proprio sentire. La morte impedì questa mia felicità, anzi la speranza di essa, e a mezza via si presentò come un nemico in armi.
Questa parafrasi, alquanto libera, dice il contenuto del testo. Non è una celebrazione della passione d’amore, ma la celebrazione del suo cessare. In questo consiste l’originalità del testo. Il poeta scrive quando Laura è morta e rievoca non il fuoco che ardeva in lui nella giovinezza, ma la speranza e l’attesa che questo fuoco potesse essere superato da un tempo in cui l’amore potesse essere vissuto con la pacatezza dell’età matura.
Dal testo si evince una Laura ritrosa davanti all’irruenza passionale di Francesco. Insicura, forse, per la paura di entrare in un vortice incontrollabile. La sua onestade non lo avrebbe permesso. Laura è tutta in questa dialettica, peraltro richiamata dalla rima, tra securtade e onestade, che definiscono la sua cifra interiore. Una ragazza la cui dignità sociale non può e non vuole essere compromessa dalla passione erotica e che pertanto vive il sentimento di Francesco come qualcosa da tenere a distanza perché fonte di insicurezza. Ecco, il poeta rievoca quella fase della propria vita in cui era in atto, in se stesso, qualcosa che avrebbe dato più securtade alla sua amata, e l’avrebbe pertanto incoraggiata ad avvicinarsi.
Dell’innamoramento è tipico il parlar sempre di se stesso. Qui i due, chiamati “amanti” senza connotazione erotica, si siedono e conversano insieme su ciò “che lor incontra”. I due sono immaginati in uno spazio pacificato, nel quale l’uno ha abbandonato la sua brama di possesso e l’altra ha deposto la sua preoccupazione per la possibilità di perdere il proprio equilibrio interiore.
Questo poteva e voleva essere l’approdo del quarantacinquenne Francesco, quando la morte, come si suol dire, si è messa di traverso e ha portato via Laura, e con essa la speranza di un approdo maturo della passione. Resta al poeta soltanto il ricordo delle “pene acerbe”, senza che queste abbiano potuto essere medicate dal tempo della Castitate. Quest’ultima non ha potuto celebrare il suo trionfo sull’Amore perché a sua volta ha trionfato su di lei la Morte. Ma anche quest’ultima soccombe di fronte alla Fama del poeta, senza che il Tempo – dopo settecento anni – sia riuscito ancora a scalfirla.
E noi, che ancora leggiamo e insegniamo Petrarca, di questa Fama siamo testimoni e servitori.
Dal web: La giovinezza come ostacolo
Le rappresentazioni dei trionfi: Francesco Pesellino (1444)
Le immagini che con più efficacia si legano alla visione progressiva del poeta, evidenziata dai versi del sonetto, e che ha per oggetto la durata non solo dell’amore, ma della vita umana nel tempo, sono le rappresentazioni iconografiche legate ai Trionfi, poema allegorico dello stesso Francesco Petrarca. Il concetto di Trionfo è classico. È infatti la solenne cerimonia pubblica che celebrava le vittorie, descritta da autori come Svetonio, Plutarco e Appiano. Il Trionfo è tradizionalmente raffigurato con un carro, sormontato dal vincitore e trainato da animali.
Petrarca prende dunque a modello l’impostazione scenografica con cui venivano accompagnati a Roma i condottieri vincitori, che abbiamo visto in chiave satirica nel precedente post e vi proietta le tappe di una vicenda spirituale, in parte personale, in parte esemplare per l’umanità.
Si tratta di un percorso ideale e universale, dal peccato alla redenzione, tipico dei testi allegorico-didascalici medievali. Una progressione dal caos dell’Eros della gioventù al necessario sopraggiungere della Castità che lo doma, all’incontro con la Morte, alla Fama, vittoriosa sulla Morte, come colei «che trae l’uom del sepolcro e ‘n vita il serba» (Triumphus Fame, I, 8-9), ma comunque sottoposta all’oblio del Tempo, se non seguita dal Trionfo della Gloria eterna.
Gli studi che hanno affrontato il tema della genesi figurativa dei Trionfi sono numerosissimi; si è ad esempio ipotizzato che a fare da tramite tra il poema e le sue raffigurazioni fosse stato un Commentario (perduto) al testo petrarchesco, capace di fornire istruzioni iconografiche agli artisti. Altri hanno invece suggerito che prototipo delle immagini dipinte sui cassoni e nei codici fosse stato un ciclo di affreschi, oggi perduto, visibile sulle pareti della casa di un colto committente fiorentino. L’intreccio tra poesia e pittura si fa più fitto pensando che alcune fonti rivelano che, per scrivere parte dei versi dei Trionfi, Petrarca si sia ispirato alla vista di un ciclo di affreschi di Giotto, anch’esso perduto, situato nella cappella regis di Castelnuovo di Napoli, in cui erano rappresentati, accanto alle mogli, personaggi illustri come Alessandro, Salomone, Ettore, Enea, Achille, Paride, Ercole, Sansone e Cesare. Esistono tante rappresentazioni dei Trionfi, ma tra tutte, per l’efficace resa della sequenza lineare e progressiva, si sceglie di proporre i dipinti sui cassoni in legno realizzati dall’artista Francesco Pesellino, forse per il matrimonio tra Piero de’ Medici e Lucrezia Tornabuoni nel 1444, di cui si presentano qui i particolari.
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