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Meglio giusti che buoni

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di Sebastiano Maffettone

 

Nel 1971 usciva A Theory of Justice, un libro destinato a cambiare la storia della filosofia politica e la cultura contemporanea.

Il successo del libro superò ogni ottimistica aspettativa. La lettura secondaria su di esso è praticamente infinita. Lo scorso anno a Dehli c’erano otto corsi universitari su Rawls, e più o meno lo stesso accade tutti gli anni a Berlino, Mosca, Roma, Parigi, Rio per non parlare dei Paesi in lingua inglese. La cosa singolare è che questo libro – che ho tradotto in italiano – è lungo (circa 600 pagine) e difficile. Per capirlo bisogna avere la pazienza di leggere e rileggere pagine fitte di complesse argomentazioni. L’autore era un uomo gentile e semplice nei modi, ma non dotato di capacità comunicativa, un po’ per la balbuzie e molto per la natura introversa e riflessiva. Rawls amava lo sport, a cominciare dal baseball – che proclamava sport più bello del mondo – ma praticava anche tennis, jogging e vela. Sposato con Mardy aveva quattro figli. Da giovane era stato militare con le forze di fanteria americane in Giappone e aveva potuto vedere da vicino i suoi devastanti effetti.

 

Alla religione pensava spesso, e aveva deciso di dedicare la sua vita al sacerdozio. Aveva poi abbandonato l’idea perché la bomba atomica, la guerra e l’Olocausto gli avevano procurato dubbi profondi. I suoi eroi erano Kant, ma anche Abramo Lincoln e Martin Luther King, due americani dotati di uno speciale «senso di giustizia». Nutriva un’avversione per la schiavitù, forse anche perché veniva da una famiglia originaria del Sud degli Stati Uniti. Era nato a Baltimora, da un padre di fede democratica e una madre con simpatie femministe. La sua vita accademica era cominciata con un dottorato a Princeton, e proseguita con una carriera quasi tutta a Harvard, nella stanza 205 di Emerson Hall (abitata allora anche da Quine, Putnam, Goodman, Nozick, Scanlon).

Rawls era senza dubbio dotato di una grande capacità analitica. Ma lo straordinario successo di cui si diceva è dovuto alla sintesi tra la forza propulsiva dei movimenti degli anni Sessanta e la necessità di ridare vigore alle istituzioni, tra una struttura argomentativa innovativa al massimo grado e un rispetto assoluto per la storia costituzionale del suo Paese, tra economia e diritto come basi del ragionamento politico. A tutto ciò si aggiunge anche una certa fantasia semantica. Termini come «posizione originaria», «velo di ignoranza», «equilibrio riflessivo», «senso di giustizia» sono diventati comuni nel dizionario colto dei nostri anni.

Politicamente, Rawls è un tipico liberal americano, anche se il suo modo di considerare libertà, eguaglianza e diritti è originale. Quello che è più difficile comprendere è l’argomento a favore dei due celebrati «principi di giustizia» e la struttura generale di pensiero costruita per giustificarli. La giustificazione è cosa diversa dalla dimostrazione, perché per giustificare una tesi politica bisogna partire dalla condivisione innanzitutto della liberaldemocrazia. Gli argomenti rawlsiani non sono mai rivolti a chi è esterno a questo tipo di orizzonte istituzionale. Il primo dei due principi di giustizia è un principio di libertà; il secondo di eguaglianza. Innanzitutto, l’eguaglianza rawlsiana è equa eguaglianza di opportunità, sarebbe a dire una radicale messa in discussione della lotteria sociale e genetica. In secondo luogo, l’eguaglianza rawlsiana è pretesa che le ineguaglianze che favoriscono alcuni siano sempre a vantaggio di chi sta peggio nella società.

Rawls nel 1993 ha pubblicato il suo secondo fondamentale libro, Political Liberalism, in cui le risposte ai critici della Teoria sono formulate all’interno di un originale quadro teorico. Si è molto discusso sul rapporto tra il Rawls della Teoria e quello di Liberalismo. Nel mio libro su Rawls, mi sono espresso a favore di un’ipotesi di continuità. Non ci sono due Rawls ma lo stesso Rawls con due problemi parzialmente differenti. Se il problema della Teoria è quello della giustizia come equità, il problema di Liberalismo è quello della legittimità politica liberale e della stabilità (su cui Rawls rivede la posizione della Teoria).

In sostanza, Liberalismo intende includere a pieno titolo nello stato quelle persone che – pur non condividendo i principi liberal della Teoria – possono essere utili alla vita della democrazia. Secondo Rawls, i liberali e i religiosi o sostenitori di visioni comprensive possono condividere una concezione politica che consiste nell’adesione alla liberaldemocrazia.

Rawls non è un pensatore secolarista: religioni e dottrine comprensive coesistono bene coi liberali purché badino tutti a rispettare gli altri rivolgendosi loro nei modi e nelle forme dalla public reason quando gravi questioni costituzionali sono in gioco. Liberalismo è con ogni probabilità un libro più difficile della Teoria, perché mentre nel primo lo scopo teorico era chiaro (criticare l’utilitarismo, proponendo un’alternativa migliore), nel secondo è più opaco. Nonostante ciò, ho sempre insistito con gli studenti sull’opportunità di leggere prima Liberalismo e poi la Teoria – rovesciando l’ordine storico – perché entrare dalla porta più larga aiuta a comprendere meglio anche quella più stretta.

La terza opera fondamentale di Rawls è senza dubbio The Law of Peoples (1999) uscito quando già Rawls era stato colpito dal primo ictus cerebrale (il secondo gli sarebbe stato fatale). Il Diritto è un libro importante, ma non è analiticamente all’altezza degli altri due, e non solo perché la stesura finale non è stata rivista da Rawls ma dalla moglie e dall’amico-collega Burton Dreben. Il target più evidente di questo libro è l’impossibilità di estendere direttamente il paradigma di giustizia della Teoria alla sfera delle relazioni internazionali. Non esiste, per Rawls, una giustizia globale analoga alla giustizia distributiva all’interno dello Stato. Nell’ambito internazionale manca infatti quella basic structure – cioè l’insieme delle istituzioni liberaldemocratiche – su cui poggia la possibilità stessa di giustificare i due principi di giustizia.

 

Sebastiano Maffettone

Da Il Sole 24 Ore del 06 gennaio 2013

 

Link: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-01-06/meglio-giusti-buoni-081749.shtml?uuid=Abp0lhHH

 

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