di Fernanda Di Monte*
Sono una suora giornalista, professionista dal 1991.
Appartengo a un istituto religioso, le Figlie di San Paolo, più note col nome di Paoline che hanno nel loro DNA la comunicazione a servizio della Buona Notizia. Ho vissuto il mio praticantato nella redazione della rivista “Jesus” dei Periodici San Paolo, a Milano, tra colleghi laici. Ho potuto crescere nella professione giornalistica confrontandomi proprio con alcuni “maestri laici”.
Quasi ogni mese mi recavo da Enzo Biagi, nel suo studio, all’interno della Libreria Rizzoli, per una “chiacchierata” sul mestiere del giornalista. Ho lavorato per anni con colleghi e amici, come Vittorio Messori, che ricordo con gratitudine e di cui conservo un suo suggerimento: “Ricordati che il giornalista non è quello che sa tutto, è quello che sa cercare”. Ma devo molto, della mia passione giornalistica, a monsignor Luigi Pignatiello, direttore di “Nuova Stagione”, settimanale diocesano di Napoli, dove ho vissuto dal 1980 al 1985, autentico maestro di vita e di professione. Fu lui che mi incoraggiò a scrivere, mi insegnò a raccontare la gente.
Monsignor Galantino, nell’intervista, alla Radio Vaticana, interessante in diversi aspetti, ha condiviso una riflessione sulla ricchezza dei media all’interno della Chiesa, denunciandone anche i rischi, tra i quali quello di essere “bigotti”.
Confesso che è un termine che non mi piace. Ma riprendo il testo tra virgolette, perché è importante. Così dice: “Io penso che la comunicazione in Italia abbia potenzialità straordinarie; dovremmo però, secondo me, essere meno bigotti, tutti quanti. Cioè, essere capaci di intercettare come gli altri e prima degli altri, perché una sensibilità grande nei nostri mezzi di comunicazione sociale c’è.
Noi abbiamo fior di professionisti che però molte volte, per un malinteso senso di ecclesialità, per un malinteso senso di fedeltà alla Chiesa, diventano più bigotti dei bigotti. E questo tipo di comunicazione non va da nessuna parte: non serve a nessuno! Non serve a nessuno!”. Non si rivolge solo agli addetti ai lavori, “dovremmo (…) essere meno bigotti, tutti quanti”.
E mi permetto alcune brevi riflessioni che partono dal nuovo pontificato di Papa Francesco. Un grande cambiamento di approccio umano, questo del Papa, che sta coinvolgendo non solo i credenti ma molti lontani dalla fede, dalla Chiesa. Ciò che dovrebbe essere normale tra persone umane: salutarsi, guardarsi negli occhi, abbracciarsi, diventa “notizia”, sconvolge la gente, gli animi. Ogni Papa ha la sua storia e agisce con le proprie caratteristiche, mettersi a confrontarli, significa stare in superficie. Tanti, troppi giornali, di ogni provenienza, mettono continuamente l’immagine di Papa Francesco in copertina.
Non mi si voglia fraintendere, intendo far rilevare che c’è bisogno di fare un passo avanti. Questo Papa continua a parlarci di Gesù e noi continuiamo a fermarci su di lui, evidenziandone questo o quell’altro aspetto. Non dobbiamo, forse, come operatori della comunicazione, sollecitare i lettori ad andare più a fondo, oltre a ciò che il Papa dice e fa?
A essere protagonisti del cambiamento interiore, mettersi in una dinamica autentica di incontro, di sequela di Gesù? Ogni nostro scritto, trasmissione tv o radiofonica, dovrebbe aiutare chi ci segue e far cogliere che ciò che scriviamo nasce da un’onestà intellettuale che sa argomentare anche l’eventuale dissenso.
L’assillo autentico di Papa Francesco, in questo momento della storia, è che “l’uomo è stato buttato via dal centro, è scivolato verso la periferia, e al centro – almeno in questo momento – è il potere, il denaro. E noi dobbiamo lavorare per le persone, per l’uomo e la donna, che sono l’immagine di Dio”. Chi scrive lo fa non per mestiere ma per ministerium! Solo così si può essere efficaci.
* L’autrice è fsp e presidente di Comunicazione e Cultura Paoline Onlus
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