Spesso Benedetto XVI, con la sua insistenza sulla continuità della tradizione era stato accusato di essere un Papa conservatore. Al di là delle polemiche sulle sue scelte particolari, resterà invece nella storia della Chiesa come il protagonista di una rottura storica, che ha lasciato tutti, critici e sostenitori, egualmente stupefatti.
Non si tratta di cosa da poco. Le dimissioni del Papa rimettono in discussione uno stile che sembrava ormai, dopo il travaglio vissuto da Giovanni Paolo II nell’ultimo periodo del suo pontificato, immodificabile. Si trova un’eco di questa certezza delusa nel commento, velatamente critico, del cardinale di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, l’ex segretario personale di Papa Wojtyla, che ha ricordato come quest’ultimo, pur nelle gravi condizioni di salute in cui ormai si trovava, avesse deciso egualmente di restare sul Soglio pontificio fino alla fine della sua vita perché riteneva che «dalla croce non si scende».
Anche se forse la guida di una comunità di più di un miliardo di fedeli dovrebbe valutare l’adeguatezza delle proprie forze non solo in funzione della sua adesione alla propria croce, ma soprattutto del bene di questa comunità. È quello che ha fatto Benedetto XVI e di ciò, francamente, gli siamo grati. Non sentivamo il bisogno di un’altra stagione di fine-pontificato in cui tutti sanno bene che a prendere le decisioni, ormai, non è più il Santo Padre, ma questo o quel suo collaboratore. L’assistenza dello Spirito Santo è promessa da Cristo a Pietro, non al suo segretario.
Dimettendosi, Papa Ratzinger ha dimostrato a chi lo sospettava di eccessivo attaccamento al passato di saper guardare al futuro. Non al suo, ma a quello della Chiesa. Ha accettato di farsi da parte e di concludere la sua vita lontano dai riflettori, nel silenzio e nella solitudine. E di assistere all’ascesa di un altro Papa che potrà, dopo di lui, fare scelte diverse, sconfessando le sue, senza che egli possa o debba fare più nulla per impedirglielo. Non è una prova d’amore da poco nei confronti della Chiesa.
In ogni caso, fin da ora, la fisionomia stessa del pontificato rimane trasformata. Quello che sulla carta si sapeva – e cioè che in linea di principio non si è necessariamente Papi a vita – da ora è una prassi che potrà essere seguita anche dai successori di Benedetto XVI, se lo vorranno. La strada ormai è aperta. E le nuove condizioni in cui oggi si svolge l’esercizio dell’autorità, nella società e dentro la Chiesa, potrebbero richiedere, anche nel futuro, guide non appesantite da un’età troppo veneranda e non logorate da un troppo lungo impegno di governo. Sono questi gli scenari che la decisione di Benedetto apre per il futuro.
No, davvero non era un Papa conservatore.
Giuseppe Savagnone
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