di Giuseppe Savagnone
Nel cuore della festosa liturgia natalizia, precisamente nel vangelo della messa della notte, leggiamo che, quando l’angelo appare ai pastori per annunciare la nascita di Gesù, è costretto a rassicurarli: «Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete”» (Lc 2,9-10).
E’ un passaggio che di solito si trascura, tanto appare irrilevante. Ma se invece volessimo fermarci su di esso, dovremmo ammettere che esso si presenta a prima vista fuori luogo, almeno per noi, nel contesto della ricorrenza che celebriamo. Il Natale è la solennità liturgica più consolante e più rassicurante dell’anno. Quella in cui, tradizionalmente, si avverte tutto il calore e il raccoglimento di un clima familiare: «Natale con i tuoi…». Ormai, poi, è diventato l’occasione per esaltare i fasti della nostra società dei consumi, con ciò che ha di buono – mettono allegria, riconosciamolo, le vetrine illuminate, le leccornie sulle nostre tavole, le strade gremite di gente – e con ciò che ha di più problematico, soprattutto per la tendenza a ridurre la dimensione religiosa a un mero pretesto, finendo addirittura, a volte per sostituirla con il rinvio a una non meglio identificata “festa d’inverno” (per non urtare i musulmani, si dice, ignorando che anch’essi credono nella nascita verginale di Gesù!).
Quel che è certo è che proprio a Natale non sembra vi sia nulla da temere. Anzi, il clima natalizio è il più adatto a tenere a bada le nostre fin troppo reali paure, che sono sempre più angoscianti, ora che il futuro si presenta così incerto sotto tanti aspetti e l’insicurezza mina le due grandi sfere su cui si gioca la nostra vita, quella della famiglia e quella del lavoro. Perché, allora, proprio questa notte, il «Non temete» dell’angelo?
Forse possiamo essere aiutati a capire guardando altre occasioni in cui, nei vangeli, risuona lo stesso invito. Per esempio, quando, dopo la trasfigurazione, che ha manifestato in tutta la sua gloria la divinità di Gesù, nascosta nella sua quotidiana apparenza umana, egli si accosta i suoi apostoli che sono caduti con la faccia a terra, mezzi morti, e dice: «Alzatevi e non temete» (Mt 17,7). Oppure quando, reduci dall’avere trovato il sepolcro vuoto, le donne corrono via e, per strada, si imbattono nel Risorto glorioso e si prostrano ad adorarlo. Anche allora Gesù dice semplicemente: «Non temete» (Mt 28,10).
E vengono in mente i numerosi testi dell’AT in cui si dice, come nel salmo 111,10, che «principio della sapienza è il timore del Signore». Essi parlano di un timore che non nasce da una minaccia, bensì dall’improvviso delinearsi di una Presenza che ci spiazza e ci costringe a riconoscere la nostra creaturale fragilità; che non è paura, ma percezione dell’infinita sproporzione tra noi e un Altro, che irrompe nella nostra storia e si impone con una realtà che ci porta a ridimensionare tutto il resto. Un timore, perciò, che costituisce la condizione per comprendere il vero senso delle situazioni e degli eventi, favorevoli o negativi, di cui è intessuta la nostra vita e che occupano abitualmente la nostra attenzione.
Forse, se noi oggi non capiamo più neppure perché mai vi sia motivo di “temere”, la notte di Natale, è perché abbiamo smarrito il senso di questo timore, abituati come siamo a sostituire la nuda fede di fronte al Mistero con una buona dose di sentimentalismo e ad attutire lo stupore, di fronte a questo Dio che entra nella nostra vita, con l’ansia di comprare gli ultimi regali. Forse siamo ormai pronti a sostituire il Natale con la “festa d’inverno” perché abbiamo perduto, anche se siamo credenti, la capacità di adorare, come fecero i pastori e i magi davanti al bambino. Eppure gli angeli sulla stalla di Bethlem ci ricordano, con il loro canto, che in quel neonato inerme rifulge, come sul monte Tabor, tutta la gloria di Dio, quella di cui si dice, nell’AT, che è così grande e tremenda che non si può vederla e restare vivi. Tanto da far nascere il dubbio che il solo personaggio del presepe che ha capito davvero la situazione, anche se non riesce a esprimerne la portata, sia quello “spaventato” che, non a caso, è diventato ormai sempre più raro trovare…
Invece di lasciarci condurre fuori del nostro piccolo mondo dall’evento che celebriamo, lo abbiamo ridotto alle nostre dimensioni. E magari è proprio per questo che le nostre paure continuano segretamente a divorarci, anche mentre stappiamo le bottiglie di spumante. Perché il timor di Dio è principio di sapienza in quanto ristabilisce le proporzioni, restituisce il coraggio del futuro, apre lo spazio a una operosa speranza.
Tuttavia, dirà qualcuno, l’angelo è venuto a esortarci a non aver più timore! È vero. Ma egli – come Gesù più tardi – può dire «Non temete» solo a chi ha temuto. Ora la gloria di Dio ci si offre sorridente in un bambino. Ma solo chi è disposto ad adorare in lui il mistero trascendente del “Totalmente Altro”, può percepire il miracolo di questa incredibile vicinanza. E solo a chi si è lasciato strappare alle proprie ossessive paure è data la consolazione che viene da quel gioioso «Non temete» che vince le tenebre della notte.
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