La “nuova Evangelizzazione”. Piccolo contributo alla riflessione.
Quando si discute oggi all’interno del mondo cattolico di “nuova evangelizzazione”, sulla spinta di una proposta di rinnovamento della missionarietà , da sempre campo di studio e approfondimento in seno alla Chiesa , ma da qualche tempo oggetto della più viva attenzione da parte dei suoi massimi esponenti – a cominciare dai Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – se ne parla come di un’adeguata risposta all’esigenza, ormai non più eludibile, di inculturare in modo efficace il cristianesimo nella società contemporanea, sempre più scristianizzata, al fine di recuperarla alla fede cattolica, piuttosto che come di un nuovo impulso per una maggiore diffusione della stessa fede in ambienti ancora non sufficientemente esplorati o evangelizzati.
Si ha pertanto l’impressione che l’attuale rinnovato fervore (da ultimo va registrata la recente creazione da parte di Papa Benedetto XVI di un apposito dicastero della curia vaticana, denominato per l’appunto «Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione») , sia frutto di una preoccupazione prevalentemente di ordine pastorale, e che l’essenza della “missio” evangelizzatrice – la predicazione degli insegnamenti di Cristo – rischi in una certa misura di appiattirsi sulla ricerca e sperimentazione di nuove metodologie di persuasione, capaci cioè di riconquistare alla Chiesa le simpatie ancorché epidermiche della gente, cioè degli uomini e delle donne appartenenti a quell’universo antropologico disgregato, opulento e consumistico, costituito soprattutto dagli abitanti dei Paesi e delle nazioni del cosiddetto Primo Mondo.
Sembra, infatti, dover considerare pur sempre un’opportunità benefica il poter ridestare in questi cattolici di facciata, cristiani solo anagrafici, l’interesse per la “vita buona”, degna di essere vissuta all’insegna della bontà evangelica, anche se ciò comporta il rischio che tale atteggiamento assecondi in sostanza solo una nobile quanto appagante filosofia esistenziale, di ascendenze vagamente liberiste, peraltro ancorata a una collaudata civiltà di tradizionale perbenismo cattolico.
D’altra parte, il profilo etico di ogni fede religiosa costituisce l’àmbito di contatto suggestivo e più immediato atto ad influenzare le scelte di vita dei singoli, ancor prima di quello dottrinario entro cui bisogna comparare e accogliere ardue opzioni intellettualistiche; cosi che, da questo punto di vista, risulta più agevole, tanto per chi lo induce quanto per chi lo subisce, un progressivo aggiustamento della sintonia cattolica alla mentalità corrente, ormai radicata nell’educazione e nella cultura precedentemente assorbite dalle persone: la conversione del cuore, prima di quella della mente .
In quest’opera per certi aspetti fascinosa di propaganda della fede, può servire a volte anche un tollerante approccio sul versante moralistico (particolarmente su quello della sessualità), fermo restando il ruolo certamente importante giuocato dal ricorso ad accorte metodologie di trasmissione del messaggio; come pure va rilevato, in questa strategia (non espressamente costruita, ma frutto di spontanee convergenze su la necessità di un rinnovamento teologico) un prudente e smagato intervento di commentatori di parte cattolica nel cuore del dibattito epistemologico che accende la discussione in seno alla cultura moderna.
In particolare, un esplicito invito a favorire e studiare l’utilizzo delle moderne forme di comunicazione sociale, quali strumenti idonei ad affermare la nuova evangelizzazione, è contenuto nel recente « motu proprio » papale che istituisce il già citato nuovo dicastero vaticano, e tale esortazione non può disgiungersi – ovviamente –dal richiamo al Catechismo della Chiesa Cattolica e dal mandato ad un pertinente e sagace approfondimento del significato teologico e pastorale di una rinnovata evangelizzazione.
E’ opportuno anche considerare l’ampio panorama attuale di una vera e propria domanda di spiritualità, che in vario modo, in un’epoca di pervasiva globalizzazione come quella che stiamo oggi vivendo, si affaccia, e a volte dilaga, nel tessuto delle relazioni sociali, e paradossalmente denuncia una stanchezza della weltanschauung materialista di derivazione post-illuministica: è un fenomeno che, oltre a essere documentato dal profluvio di discussioni e richieste in argomento presenti su i più diffusi social network, offre spazio e opportunità all’avvento delle sette, le quali proliferano e fanno proseliti elargendo suggestioni di vario tipo, nell’intento di dare risposta a inquietudini diffuse e, comunque, un esito qualsiasi alla ricerca di senso del vivere comune.
Stando così le cose, il rilancio di quella che potremmo chiamare vitalità cristiana, pur con tutti gli appesantimenti legati al perdurare di preclusioni invalicabili di natura dogmatica e all’ affezione a forme spettacolari e pompose di esposizione, percepite come ridondanti e ormai anacronistiche (specialmente in alcuni riti cari alla pietà popolare), costituisce pur sempre un risultato sociologicamente palpabile, nel senso che delinea una prospettiva dignitosa, e alla fine accettabile, per un futuro umanamente vivibile, se visto in seno all’andazzo incoerente e insicuro di tutta la vita moderna. La conclamata crisi delle ideologie, e il travaglio filosofico che ne consegue, caratterizza il momento storico presente – etichettato come il tempo della post-modernità – durante il quale il domani appare incerto, la progettualità è desueta, si paga il tributo di molteplici deludenti certezze – che la sagace diagnosi di Papa Ratzinger ha bollato come “relativismo culturale”-, e dunque fra le possibili opzioni spiritualiste il cristianesimo, pur declinato nelle sue molteplici confessioni, appare ancora una sponda affidabile, se non pienamente credibile.
Questa tentazione spiritualista cristiana, che lascia immaginare un’esistenza umana meno cinica e alienante di quella vissuta entro gli schemi di una società anticonformista e contraddittoria come quella occidentale – contraddistinta ahimè dallo sperpero e dalla contemporanea presenza di numerose sacche di povertà e di miseria materiale e spirituale -, questa opzione religiosa moderatamente conservatrice, ancora plausibile nella situazione sopra accennata, si è visto che può attrarre l’interesse della gente, fino a sedurre – se ben veicolata – la coscienza di quanti si sentono frastornati nel tirare a campare; e questa attrazione è sostenuta da innumerevoli esemplari e confortanti situazioni di accoglienza e assistenza di diseredati ed emarginati che la Chiesa asseconda, e che le istituzioni della società civile invece non riescono a gestire (basti pensare alle numerose opere caritative cristiane), e quindi è attrattiva proprio in ragione della sua capacità di placare in qualche modo l’ansia da insicurezza, generata dalla provvisorietà delle condizioni economiche e finanziarie e dal relativismo dei valori – a più riprese, come s’è detto, denunciato dal Papa – che travaglia l’Occidente, nel cui seno, per altro verso, sono invece maturati progressivamente processi di secolarizzazione e indifferentismo religioso.
Orbene, per tornare alla nuova evangelizzazione, dovendosi registrare , in base a quanto sopra osservato, che il contesto “mondano”, entro cui la Chiesa è chiamata a svolgere la sua missione, ha subìto nel volgere di meno di un secolo una rapida trasformazione per quanto riguarda la struttura sociale , e ancor più la sensibilità comune, rispetto alla stabilità da tempo preesistente, è più che opportuno – da parte della stessa Chiesa – ammodernare il proprio modus operandi attraverso cui viene conservato, e se possibile rinvigorito, il rapporto con i fedeli; anzi, è proprio necessario, per non dire indispensabile, attuare un costante aggiornamento culturale della catechesi, di modo che le verità rivelate continuino a risuonare nel cuore delle persone e continuino a formare la coscienza cristiana del popolo di Dio, prima ancora di essere più o meno esattamente tradotte in principi dottrinari, i quali spesso stentano a convincere l’intelligenza degli ascoltatori (ma, da quest’ultimo profilo, bisogna fortunatamente riconoscere che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha da tempo avviato – ma non concluso – un benefico quanto travagliato approfondimento della riflessione teologica nella continuità del deposito della tradizione).
Quindi, conclusivamente, non si può non essere d’accordo su un auspicabile rilancio dell’apostolato intra ecclesia, ma l’esigenza di essere al passo coi tempi rischia in verità – secondo me – di aprire un varco attraverso cui si può insinuare una sorta di mondanizzazione delle coscienze: si può ben immaginare, cioè, che circostanze, ancorché favorevoli, di un risveglio di stampo neo-modernista all’interno della prassi cattolica, comportino una incauta sopravvalutazione del proselitismo di convenienza, nell’inevitabile competizione con altre spigliate agenzie di formazione religiosa, a scapito dell’ortodossia dei contenuti del kerigma. E questo è il nocciolo della questione: poiché è su alcuni punti fermi del Catechismo il disagio di molti “fedeli dubitanti”.
Bisogna riportare la fede cristiana alla sua purezza originale: questo è il vero problema della cosiddetta “nuova evangelizzazione” (ma, secondo me, sarebbe meglio in proposito parlare di rievangelizzazione della moderna società occidentale), che oggi la Chiesa-popolo di Dio sente di dover affrontare e risolvere innanzi tutto per rispondere alla vocazione missionaria esplicita che il Salvatore le ha comandato, e poi anche, se vuole, per riaffermare, legittimamente, la propria validità in seno al panorama delle varie credenze religiose e spiritualiste presenti nel mondo contemporaneo.
Ciò significa, in sostanza, rinnovare nella forma – e talvolta anche nei contenuti – l’attività missionaria, soprattutto nei confronti del mondo cristianizzato, attraverso un’accorta e sapiente attualizzazione del messaggio evangelico là dove esso viene rivolto ad una società sempre più secolarizzata – e in tal senso riottosa ad accogliere ogni supposta verità rivelata e impermeabile alla penetrazione di ogni tipo di mitizzazione – in modo da riaffermare la validità perenne, in ogni tempo e in ogni luogo, dei principi e, conseguentemente, dell’etica (cioè del modo di praticare una rinnovata mentalità attraverso la coerenza del comportamento), che sostanziano il credo cristiano.
Si tratta di un’opera missionaria difficile in sé, che potremmo definire di fede persuasiva, perché volta a rivedere i presupposti valoriali che hanno influenzato troppo a lungo la formazione laica delle coscienze; si tratta anche di contrastare resistenze psicologiche alla revisione di proposizioni materialiste e sostanzialmente antimetafisiche che, in vero, risultano sempre più accreditate in campo scientifico, e che per ciò appaiono diffuse e quasi scontate nella cultura moderna del mondo occidentale.
L’ opera di ri-evangelizzazione esige un’autenticità radicale della fede trasmessa, che non basta solo testimoniare, ma che va predicata con l’annuncio senza mezzi termini della Verità: non soltanto, quindi, implica l’esortazione a praticare elevate virtù umane, che – guarda caso! – coincidono con le virtù e i consigli evangelici, ma richiede l’esternazione di una consapevolezza profetica della gioia di vivere un’esistenza buona sostenuta dal Cristo, cioè fondata sulla sua presenza viva, efficace e perenne nella storia dell’uomo.
Certo, credere in Gesù-Messia postula l’attesa di un effettivo compimento – che rende necessaria e non mitizzata l’assunzione in Dio della realtà ontologica – compimento la cui invocata certezza, che si vorrebbe agognare di natura razionale, riguarda ciò che ancora non è palese: allora, solo un supplemento del cuore induce a ritenere già, per così dire, sensibilmente anticipata ogni realtà nella storia della vita stessa dell’Uomo Gesù, così come si dipana attraverso misteriose vicende, cioè attraverso l’incarnazione, morte e resurrezione di Chi racchiude in sé l’ ubi consistam di ogni cosa.
Allora, anche l’ineffabile racconto evangelico della sconvolgente trasfigurazione di Gesù, mi sembra che riveli, a chi vuole e sa guardare, un evento che anticipa sensibilmente agli esterrefatti apostoli l’irrinunciabile proiezione escatologica dell’esistenza umana.
Se, da cattolici, ci assumiamo la responsabilità di ri-evangelizzare, dobbiamo essere capaci di ridire con un linguaggio accettabile dagli uomini di questo nostro tempo la sostanza della speranza che ci conduce, senza rifiutare le sfide del dubbio, che possono giustificare sia la difficoltà di accettare la Verità, sia anche l’onesta ricerca di nuove concezioni teologiche della stessa (come quelle che si definiscono dinamico – evolutive).
In definitiva, a me basta Cristo: come meglio annunciarlo oggi, è tutto da capire!
Elio Scaglione{jcomments on}
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