1. Più guardiamo il volto di don Pino Puglisi, svelato solennemente durante il Rito di Beatificazione, più sentiamo che il suo sorriso ci unisce tutti. Sorride ancora don Pino, e questo sorriso ci trasmette adesso anche la gioia soprannaturale della comunione gloriosa con Dio e con tutti i santi: finalmente possiamo invocarlo Beato!
La Chiesa riconosce nella sua vita, sigillata dal martirio in odium fidei, un modello da imitare perché i credenti di tutti i tempi camminino più speditamente verso quella Gerusalemme celeste che egli già abita.
2. La similitudine di Gesù sintetizza bene tutta la sua esistenza: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Per portare frutto, il chicco di grano deve morire. “Gesù ha portato molto frutto quando è morto” spiegava il Beato Puglisi ad alcuni giovani in ricerca vocazionale, e spiegava loro come rendere feconde le scelte della vita: “La logica della scelta – diceva – diventa una logica di impegno ma anche, qualche volta, di sacrificio che però dà vera gioia… Chi vuole crescere deve accogliere la logica del chicco di frumento”.
In ogni sua scelta di discepolo, e nei 33 anni della sua vita sacerdotale, il Beato Puglisi fu “chicco” perché ogni giorno accolse di morire poco alla volta nel quotidiano spendersi al servizio dei fratelli: in tutti i ministeri confidatigli dal Vescovo, il suo fu un donarsi senza riserve, “per Cristo a tempo pieno” come era solito ribadire.
Dice Gesù: “Chi ama la propria vita la perde”. E don Pino, Beato, lo ricorda ai giovani che si sforzano di costruire il loro futuro, alle famiglie pressate da tante difficoltà, agli ammalati chiamati ad offrire la loro sofferenza, a tutti coloro che vogliono impegnarsi in un cammino di fede che dia autentico sapore alla vita. Solo se siamo disposti a donarci per amore, a condividere la vita spezzandola per gli altri, la ritroveremo moltiplicata. Don Pino parla poi in particolare a noi sacerdoti: non fu mai “prete per mestiere”, ma autentico “pastore secondo il cuore di Gesù”, come ha affermato la Lettera Apostolica del Santo Padre.
La mano mafiosa che, quel 15 settembre 1993, lo ha barbaramente assassinato, ha liberato la vita vera di questo “chicco di grano” che, nella ferialità della sua opera di evangelizzazione, moriva ogni giorno per portare frutto. Quella mano assassina ha amplificato oltre lo spazio e il tempo la sua delicata voce sacerdotale, e lo ha donato, martire, non solo a Brancaccio, non solo alla Sicilia o alla nostra bella Italia, ma alla Chiesa tutta e al mondo intero.
3. “Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore”. Seguire Gesù è servirlo. E Cristo si serve nei fratelli. Per don Pino questa fu sempre la rotta sicura. La proponeva soprattutto ai giovani, perché potessero incontrare Gesù nei loro fratelli, in una “esperienza esistenziale feriale del servizio, – diceva – nelle azioni anche le più umili e banali”.
In questo amore ai fratelli, ci ha detto San Giovanni, sta l’unica concreta e verificabile risposta dell’uomo all’amore ricevuto da Dio.: “Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo… Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede…”.
E il Beato Puglisi servì e amò i fratelli da padre: 3P, Padre Pino Puglisi.
Fu un continuo generare figli ed un continuo prendersi cura di loro. Un padre dalle relazioni semplici e gioiose, caratterizzate da un’accoglienza che non guardava l’orologio, che sapeva di umano e di soprannaturale insieme: chi lo incontrava si sentiva accolto dall’amico e dal fratello e, poi anche amato da Dio, Padre di misericordia.
Un padre discreto, nell’accompagnamento e nell’ascolto generoso: ironizzava spesso sulle sue orecchie grandi. Un padre che provocava all’amore: amava definirsi un “rompiscatole”. Soprattutto un padre sempre in sapiente attesa dei tempi della fede di ciascuno. Questa paternità dovrebbe marchiare a fuoco ogni pastorale ecclesiale!
Servo, pastore, padre, soprattutto nei confronti dei piccoli, suoi veri prediletti, dei poveri. Padre ferito per la povertà di tanti figli lontani da Dio. Padre che si lasciò interpellare dai bisogni del territorio, di quella gente affidata alle sue cure, spesso lontana dalle devozioni e dalle sacrestie, ma ugualmente bisognosa della salvezza di Gesù.
4. Fu soprattutto a Brancaccio che il Beato Puglisi trovò bambini e giovani quotidianamente esposti ad una “paternità” falsa e meschina, quella della mafia del quartiere, che rubava dignità e dava morte, in cambio di protezione e di sostegno: “È quello – diceva – che la mafia chiama ‘onorabilità’. Per questo bisogna unirsi, dare appoggi esterni al bambino, solidarietà, farlo sentire partecipe di un gruppo alternativo a quello familiare”.
La sua azione mirò allora a rendere presente un altro padre: il “Padre nostro”. Di “nostro” – egli intendeva dire – non ci può essere una “cosa” che si impone a tutti attraverso un “padrino” onnipresente. Di “nostro” c’è piuttosto Dio “Padre” che ama tutti, che ama dentro e fuori la chiesa: riconoscersi suoi figli non ha costi, conseguenze, pericoli.
Il “Centro Padre Nostro”, realizzato insieme a parrocchiani e benefattori con grande fiducia nella Provvidenza, doveva rendere visibile questa paternità vera.
Così si esprimeva: “La casa di accoglienza ponendosi come promanazione di quella che è la nostra identità di cristiani, assume la connotazione di un centro socio-pastorale”. Un centro di pastorale parrocchiale e di servizio sociale insieme che consentisse di vivere – come diceva – “la missione al servizio della persona nella sua totalità”, indirizzato soprattutto ai poveri, ai bambini e ai giovani.
Con questa azione di evangelizzazione e promozione umana, Padre Puglisi sottraeva alla mafia del quartiere consenso, manovalanza, controllo del territorio.
In odio a questa fede compiuta nella carità, che si faceva missione nel territorio, la mafia tanto devota a parole uccise don Pino. Oggi rendiamo grazie al Signore perché il suo martirio conferma la verità della Parola di Dio: “Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo”. La verità è che i mafiosi, che spesso pure si dicono e si mostrano credenti, muovono meccanismi di sopraffazione e di ingiustizia, di rancore e di odio, di violenza e di morte.
Ben lo mostrano anche quanti, come costruttori di pace e di giustizia, sono stati ignobilmente eliminati a motivo di quella stessa giustizia che hanno coraggiosamente servito. I loro nomi formano una lunghissima lista di cui abbiamo voluto far memoria nel corso della veglia di preghiera di ieri sera, ma mi sia permesso di ricordare oggi, tra gli altri, i magistrati Rosario Livatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: come dimenticare il loro sacrificio? Come dimenticare il loro impegno per aprire, nella nostra società, un nuovo orizzonte di speranza libero da ogni predominio malavitoso?
Ogni azione assassina dei mafiosi ne rivela la vera essenza, che nulla ha che vedere con il Vangelo di Cristo, che è vita e pace, amore e giustizia. Per loro, da parte di tutta la Chiesa, riecheggi ancora il forte grido del Beato Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi: “Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è Via, Verità e Vita, lo dico ai responsabili: Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”.
5. “Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”. Questa fede professata con le labbra e compiuta nella carità ha spinto don Pino a perseverare nella sua azione pastorale anche quando, insieme con i suoi collaboratori, subiva minacce e intimidazioni: “Ho creduto anche quando dicevo: ‘Sono troppo infelice’ ” .
Ma la forza della fede del Beato Puglisi ha riposato su un rapporto unico e costante con la Parola di Dio. Fu – come espresse il Cardinale Pappalardo – “missionario del Vangelo”, perché si nutrì del rapporto con Gesù Cristo, Parola incarnata, vero Dio e vero uomo.
Il Vangelo di don Pino non era diverso dal nostro! La fede di don Pino non era diversa dalla nostra! Il suo martirio non ammonisce solo chi impasta religiosità esteriore e accondiscendenza al male, ma ci interpella tutti, come comunità ecclesiale, a vincere ogni forma di male nel mondo con questa professione di fede, saldamente fondata sulla Parola e compiuta nella carità. Ci chiama alla missione perché la nostra fede vincerà il mondo solo se verrà testimoniata, secondo il binomio che, in Puglisi, sintetizzò insieme evangelizzazione e promozione umana.
6. “Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo”. Il salmista ringrazia Dio perché lo ha liberato dalla morte, e testimonia la propria fede nell’assemblea dei credenti, perché tutti possano comprendere quanto ha fatto per lui il Signore.
Anche in don Pino, oggi Beato, tutta la Chiesa riconosce quanto il Signore ha operato in lui, e chiede forza perché questo stesso divino progetto d’amore, di giustizia, di pace e di santità possa compiersi in ciascuna delle sue membra vive, redente dall’Amore e chiamate all’Amore!
Beato martire Giuseppe, il tuo sangue continuerà a fecondare questa Chiesa! Tu lo desideri! Perché lo desidera il Dio tuo e Dio nostro! Poni, ti preghiamo, come un pungolo insistente a questa Chiesa che ti ha generato l’esigenza di continuare il suo cammino di fede e di carità, per testimoniare ovunque e sempre la liberazione del Vangelo, in una costante compromissione nella storia degli uomini, promuovendo la cultura della famiglia e della vita e costruendo la civiltà della giustizia e dell’amore.
I sorrisi di questa Chiesa possano intrecciarsi con il tuo, o Beato martire Giuseppe, e siano segno visibile di quella santità bella che Dio Padre ha preparato per tutti i suoi figli, e di quel futuro di speranza che questa nostra terra continua a desiderare e fortemente si impegna a costruire.
Beato martire Giuseppe Puglisi, prega per noi!
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