P. Antonio Guglielmi – S. Lucia al Borgo

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INTERVISTA A PADRE ANTONIO GUGLIELMI

PARROCCHIA DI SANTA LUCIA AL BORGO

15.9.2012

 

 

Padre Antonio Guglielmi è il parroco della Chiesa di Santa Lucia, in via Enrico Albanese. Non ci conoscevamo prima dell’intervista, mi ha accolto nella canonica adiacente la Chiesa un piovoso sabato di settembre. E’ a Palermo solo da novembre dello scorso anno, ma mostra di avere già una buona conoscenza del territorio e della sua gente. Ha una spontaneità che traspare in ogni risposta accompagnata però da una delicatezza nei modi di fare e da una pacatezza nel parlare che rendono la nostra chiacchierata un piacere e il nostro incontro un bel ricordo.

 

 

Quanto è grande la parrocchia di Santa Lucia?

Secondo i dati ufficiali della diocesi, la parrocchia di Santa Lucia comprende quattro o cinquemila abitanti, ma in realtà se ne contano circa diecimila. Si tratta, infatti, di un quartiere molto concentrato, in cui in ogni casa abitano più famiglie.

 

Qual è il rapporto tra il numero dei parrocchiani e quello di coloro che frequentano la messa domenicale con una certa costanza?

Non è facile esprimere il rapporto in termini numerici. La nostra è una realtà a macchia di leopardo; la parrocchia di Santa Lucia, in realtà, è costituita da tre parrocchie diverse. C’è la parrocchia del Borgo vecchio, frequentata da gente che è legata alla storia del Borgo e alla Chiesa di Santa Lucia. Poi c’è la parrocchia che scherzosamente chiamo “di via Enrico Albanese”, perché caratterizzata da condomini più agiati, che è pienamente parte della realtà di Santa Lucia. Infine, c’è la parrocchia delle ore 20.00 della domenica sera, che accoglie gente che nel tempo si è identificata con la storia e lo stile della parrocchia, che ha costruito un legame di simpatia con i celebranti, che trova comodo l’orario della celebrazione e che non è collegata in modo specifico con il territorio. Si tratta, quindi, di tre diverse realtà. La sfida è come fare incontrare queste realtà. Per le prime due parrocchie le celebrazioni e le attività che si svolgono nella Chiesa diventano motivo di incontro. La realtà delle ore 20.00 è, invece, a sé stante e, anche quando si sono proposti degli incontri o delle partecipazioni, la gente stenta. Offriamo un servizio liturgico, ma al momento non riusciamo a coinvolgerli in altre attività.

 

Nel territorio parrocchiale, come cercate di raggiungere i non praticanti o non credenti?

Per cercare di raggiungere i non praticanti e i non credenti si è valorizzata l’attenzione persona e al rapporto umano con le persone. Questo, innanzitutto, significa accogliere le persone che vengono e ascoltare le richieste, anche se si tratta solo di richiedere un certificato o la celebrazione di un funerale o di un matrimonio. Questi momenti occasionali diventano motivo per avvicinare le persone e per instaurare un rapporto di fiducia e di empatia; anche perché molta gente che frequentava la parrocchia nel passato si è allontanata e non frequenta. I comboniani sono a Palermo solo da due anni e io sono qui solo da novembre dello scorso anno. La prima attenzione è stata di favorire un approccio positivo con i sacerdoti. Un’altra iniziativa che abbiamo organizzato riguarda la benedizione delle case e, nel mese di maggio, il rosario nelle famiglie. L’accoglienza a queste iniziative è stato un pò timido, per via delle dinamiche che si creano all’interno dei condomini nell’invitare a casa a pregare, però è stato un primo sassolino che è stato lanciato per vedere un po’ come le persone possono aggregarsi per pregare insieme.

 

Ci sono attività di formazione che vanno al di là del catechismo per i bambini e i ragazzini fino alla cresima? I catechisti per la preparazione alla prima comunione e alla cresima vengono preparati a loro volta? Come? Da chi?

I catechisti che si occupano della preparazione ai sacramenti della confessione, dell’eucarestia e della cresima partecipano a dei momenti di formazione che si svolgono mensilmente in parrocchia. La preparazione è svolta principalmente dai sacerdoti della parrocchia. Penso che la funzione del parroco debba essere tesa alla formazione dei laici. Il parroco non può ridursi a scrivere certificati o a fare sacramenti, se poi tralascia la crescita di fede e il cammino spirituale dei propri laici che sono i primi collaboratori. L’attenzione a coloro che sono i primi soggetti della parrocchia, i cosiddetti collaboratori, i laici impegnati, è una caratteristica dei comboniani: si tratta di una priorità e non riguarda solo la formazione teologica, ma è una attenzione alla formazione umana, alle relazioni con le persone. Oggi, è fondamentale curare la formazione umana.

Si sta organizzando anche un gruppo per la preparazione al battesimo e c’è già una equipe che si occupa del corso pre-matrimoniale. In particolare questa esperienza è stata molto significativa, perché si è trattato di stare molto attenti alla realtà delle persone che frequentavano il corso. Si tratta di situazioni in cui bisogna mostrare flessibilità e avere l’attenzione di accogliere il vissuto delle persone, senza giudicare ma valorizzandole e farle sentire partecipi, aiutare a vivere il positivo di tutte le esperienze.

 

Qual è la percentuale di ragazzi che continua a frequentare la parrocchia dopo la cresima? C’è un gruppo giovanile permanente? Che età hanno i partecipanti in media?

Non esiste in parrocchia un gruppo giovanile permanente e sono pochi i ragazzi che continuano a frequentare la parrocchia dopo la cresima. I comboniani sono nella parrocchia di Santa Lucia da poco tempo, stanno cominciando adesso. A giugno 2012 si sono organizzati dieci giorni di oratorio estivo con più di 60 bambini del Borgo ed è stata una bella esperienza perché si è riusciti ad aprire gli ambienti parrocchiali al territorio, soprattutto considerando il passato e la diffidenza da cui si è partiti. L’attività è stata organizzata con la collaborazione dei laici comboniani. All’inizio la gente era un po’ titubante, poi le richieste sono state tante che si è dovuto dire di no. E’ stata una bella esperienza, perché si sono aperti i locali alla gente, alle mamme che hanno preparato e servito la merenda.

L’idea, quest’anno, è di cominciare l’oratorio in parrocchia almeno una volta la settimana, il venerdì con delle attività che faremo durante l’anno e per il futuro pensare ad una settimana dell’amicizia con i ragazzi delle medie. Lo scopo è di investire a lunga scadenza; l’idea è di cominciare con i ragazzi in modo da instaurare un rapporto e nel giro di pochi anni mettere su un gruppo di giovani che siano impegnati in parrocchia e che facciano una scelta di fede con coerenza.

 

Quali sono i rapporti tra la parrocchia e le associazioni, i gruppi e i movimenti – se ce ne sono – che operano al suo interno? Esistono dei rapporti tra la parrocchia e altre associazioni?

La parrocchia ha dei rapporti con la Uisp, che è un’associazione che si occupa di ragazzi e adolescenti e che durante l’anno organizza attività sportive nel campo di calcetto della parrocchia. C’è una buona intesa e la soddisfazione di essere riusciti a coinvolgere i ragazzi del Borgo in modo da insegnare ad entrare dalla porta, senza dovere scavalcare. Sembra poco, ma è un successo dal punto di vista educativo.

 

Che ruolo hanno i laici?

C’è un laicato che vuole avanzare e che ha una grande sensibilità. I laici dovrebbero vincere una certa timidezza che hanno nei confronti del clero. Non bisogna avere un’osservanza pietosa nei confronti del sacerdote. Il sacerdote non è colui che comanda. A volte mi dicono che quello che decido io va bene per tutti; a noi questo poco importa con la nostra mentalità. Abbiamo un consiglio pastorale e parliamo insieme; però anche i laici hanno il dono dello Spirito Santo, per cui certe decisioni le maturiamo insieme.

 

Quali sono i tratti essenziali della esperienza di fede che vi caratterizza? Vi riconoscete in una spiritualità in particolare?

La spiritualità che ci caratterizza si ispira al Sacro Cuore di Gesù. E’ una spiritualità incarnata sulla misericordia e questo vuol dire che Dio ama tutti e che siamo chiamati a dividere questo amore con tutti, far si che le persone possano percepire l’amore di Dio nei loro confronti.

Il secondo aspetto è che questo amore proprio perché è per tutti ha una dimensione missionaria. Anche quelli che sono fuori dai perimetri parrocchiali o dalle categorie di diritto canonico sono oggetto di attenzione e premura da parte nostra. A ciò si aggiunge l’attenzione che dobbiamo avere soprattutto alle realtà missionarie dell’Africa e alle realtà missionarie dove i comboniani sono presenti e a tutti gli immigrati.

L’esperienza di fede è l’attenzione ai casi perduti, mi rifaccio all’esperienza di Gesù con Zaccheo quando dice che il Figlio dell’uomo è venuto per salvare ciò che è perduto. Ciò che per la società e per alcune persone di Chiesa sono i casi perduti diventano oggetto di attenzione e di amore da parte dei comboniani. L’attenzione è di andare incontro a queste situazioni.

Partiamo sempre dall’analisi della realtà, dalla storia, dove cerchiamo di scoprire i segni della presenza di Dio. Il Vangelo di Giovanni dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito”. Questo è il mondo che Dio ama. Non è un mondo ideale, è la realtà del mondo di oggi. Quindi è una realtà positiva, non negativa. Bisogna scoprire la presenza di Dio nel mondo.

 

Qual è il gruppo o il cammino spirituale che ritenete più vicino a quello che perseguite?

C’è una collaborazione con la famiglia comboniana che è formata dalle suore comboniane che si trovano a Ballarò e dai laici comboniani che abitano a San Lorenzo nella comunità chiamata “La Zattera”. Organizziamo insieme dei momenti di formazione e di comunione.

 

Qual è l’iniziativa che vorreste realizzare insieme ad altri gruppi e/o parrocchie?

Innanzitutto aiutare la diocesi di Palermo ad essere più missionaria e a stare attenti alle sfide della nuova evangelizzazione. L’impressione è che la Chiesa di Palermo faccia fatica a cogliere la novità e la ricchezza delle Chiese più giovani, che hanno fatto un bel cammino, come la Chiesa dell’America latina. L’impressione è che la Chiesa sia preoccupata delle cose del suo mondo, che sia legata al suo passato glorioso, mentre bisognerebbe aprirsi alle altre Chiese, che fanno parte della nostra Chiesa e da cui si ha tanto da imparare. Questo è anche il senso della presenza dei comboniani che sono ritornati a Palermo.

Nel rapporto con le altre parrocchie l’importante è incontrarsi su ciò che essenziale, su quello che ci unisce e non sui dettagli o sulle rubriche.

Oggi la gente sceglie dove andare a messa, e per questo è necessario interrogarsi positivamente e capire perché la gente va altrove.

 

Cosa ritenete urgente per affrontare i problemi, se ce ne sono, della città di Palermo?

Credo che se riuscissimo nella realtà della nostra parrocchia a lavorare ad un progetto di educazione alla fede e alla cittadinanza già aiuteremmo Palermo. Questo è un primo segno di attenzione e di collaborazione con il territorio: quello formativo, educativo, direi della cittadinanza.

 

Cosa ritenete urgente per affrontare i problemi, se ce ne sono, della Chiesa di Palermo?

Il punto su cui è importante lavorare nella Chiesa di Palermo, come in tutta la Chiesa, è l’importanza del dialogo, sia con la gente sia all’interno del clero. Non bisogna perdere di vista i problemi della gente, imparando a tenere conto delle circostanze. La Chiesa, talvolta, è troppo preoccupata di se stessa. Fa fatica a dialogare con l’uomo di oggi. Bisogna riscoprire il ruolo del sacerdote, che non è più quello di una volta. Prima il sacerdote era visto in funzione dei sacramenti, oggi c’è l’attenzione ad una realtà da evangelizzare, per cui bisogna andare incontro alle persone. Bisogna stare attenti alle relazioni umane.  

C’è tutta la questione sessuale e affettiva che la Chiesa non affronta; dovrebbe vedere la questione della solitudine del clero. Cosa fa la Chiesa per accompagnare i suoi sacerdoti, il clero è isolato. E’ importante rivedere la figura del prete e la sua formazione. Non bisogna curare solo la formazione intellettuale, bisogna puntare anche sulla formazione umana.

 

Intervista di Luciana De Grazia

 

 

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