Intervista al cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo
di Fernanda Di Monte
Arcivescovo di Palermo dal febbraio del 2007, il cardinal Paolo Romeo ha servito la Santa sede, per molti anni come Nunzio Apostolico in diversi Paesi: Haiti, Colombia, Canada, Italia. Le sue parole esprimono l’esperienza vissuta e la chiarezza che i problemi della gente si risolvono solo in un dialogo e in una sincera collaborazione tra Chiesa e Stato, per il bene comune.
Eminenza, cosa significa il termine “cultura” per la Chiesa.
“Sul termine cultura vorrei rifarmi al Vangelo perché questo ci permette di comprenderne il significato.
La Parola si fa carne e la carne si fa annunzio. L’annunzio diventa, poi, un fermento e questo, in un impasto che cambia e si evolve, accelera i tempi del Regno di Dio in mezzo agli uomini. Nei tempi forti dell’anno liturgico il Signore parla di conversione, perché il regno di Dio è vicino. Ci troviamo di fronte all’intersecarsi tra le proposte, le riflessioni, le espressioni culturali e l’incarnazione, ossia la traduzione di tutto questo nella realtà: ciò determina la cultura di un popolo. L’intrecciarsi di idee che diventano idee forza, tradotte nella vita.
Per “cultura” dobbiamo pensare, soprattutto noi cristiani, non a qualcosa di ideologico, ad una disquisizione filosofica, ma alla idea forte che ognuno ha nel proprio cuore e che, nell’esprimerla, nel trasmetterla, diventa cultura.
Le singole persone scompaiono, la componente delle radici e dei contributi dati vengono amalgamati nell’insieme e possiamo cosi parlare di cultura italiana, europea, cristiana, che non è soltanto il Vangelo, ma è come questo Vangelo è stato vissuto dai cristiani. E’ questo intersecarsi tra il nostro pensiero e la nostra vita”.
Quindi, stando a quanto appena espresso da lei, parlare di pastorale della cultura, significa prendere il Vangelo come modello di comportamento. Una cultura, quindi, che va al di là del sapere, della conoscenza.
“Certamente. I vescovi latinoamericani, quando si sono interrogati per vedere se il comportamento o la vita sociale di queste nazioni – che si dicevano cristiane – fossero delle società che esprimevano fermento; ebbene, si sono accorti come alcuni aspetti di questa cultura che la società si stava dando tradisse, da una parte, i principi del Vangelo e, dall’altra, anche le tradizioni che si erano impegnati a promuovere. In America latina, la teologia della liberazione ha detto: guardiamo la nostra società, troviamo le conseguenze del peccato. Proviamo a liberare l’uomo da una realtà negativa, come la corruzione, l’ingiustizia, la violenza, la sopraffazione sui poveri ecc.. Ecco, questa realtà negativa non è cultura evangelica, né la cultura che hanno voluto trasmettere i nostri Padri, pur con tutte le possibili debolezze e gli errori storici.
Si dice che la storia è maestra della vita. Noi cristiani dobbiamo avere la coscienza che, se nella storia abbiamo commesso degli errori, questi errori vanno corretti. Anche nella storia della Chiesa se sono stati commessi degli errori, la riflessione deve portarci a rimediare.
Oggi noi lo vediamo impellente nella nostra società italiana. Ecco la questione della pastorale. Noi andiamo sempre più verso una società che ha sempre meno i caratteri cristiani, non solo nel senso religioso. Lo dico per le tante esperienze che ho fatto come nunzio in varie nazioni. La dignità dell’essere umano, illuminata dalla dignità che ci ha annunciato Cristo, è diversa da quella filantropica. Il comandamento dell’amore va molto più lontano di una filantropia o di un umanesimo, perché quello che noi facciamo come cristiani, come credenti, segue quanto detto e fatto dal Cristo”.
Nella lettera pastorale Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo, del 2008, Lei evidenziava alcune priorità e l’importanza di collaborazione della Chiesa con lo Stato.
“Quando sono stato nominato arcivescovo di Palermo e salutavo, perché fino a quel momento ero nunzio apostolico in Italia e quindi avevo contatto con le massime autorità dello Stato Italiano, proprio l’allora presidente del Consiglio, l’onorevole Prodi, mi disse, che lo Stato, la Nazione si aspettavano molto da me. Ho risposto che la Chiesa può fare tanto, ma non da sola, anche lo Stato deve impegnarsi. Dissi. “Noi non possiamo parlare di una cultura di legalità se poi voi non ci aiutate, concretamente, a costruire questa legalità.”. In effetti, noi possiamo cercare di formare le persone al senso del dovere e del rispetto, ma se lo Stato non fa la sua parte non si va avanti.
La Chiesa si impegna senz’altro per la famiglia, perché è fondamentale, il Signore ha dato un mandato ben preciso, ma se lo Stato non aiuta ad avere una casa, un lavoro? Se non crea strutture civili dove le persone possono vivere in spazi adeguati? Il tessuto civico va costruito insieme. Non si può delegare alla Chiesa ciò che lo Stato dovrebbe fare.
Solo un azione congiunta, la Chiesa per quello che sono i valori spirituali e la società per quelli che sono i valori civici, nel servizio al bene comune e alla persona umana, ci permette di crescere, siamo due realtà parallele”.
Nella storia, molte volte la Chiesa ha supplito alle carenze dello Stato, gli esempi, non mancano. Possiamo ricordare padre Puglisi.
“Si, egli ci ha lasciato una grande testimonianza e insegnamento. E’ nota la sua affermazione: “Se ognuno fa qualcosa, insieme possiamo fare molto”. Aveva capito l’importanza del lavorare insieme. Aveva colto bene che la parrocchia doveva essere un luogo pastorale, dove accogliere tutti, ma lo Stato doveva costruire la scuola, aprire il centro sanitario di base, avere una biblioteca. Ha sognato e fatto progettare come doveva essere il complesso parrocchiale. Ognuno, Stato Chiesa, mette a disposizione il proprio impegno e cerca di risolvere i problemi della città per il bene comune.
Fare cultura non è fare eventi per gli intellettuali, per gli scrittori. Il tessuto civico non può cambiarlo solo la Chiesa”.
Tra le priorità che accennavamo prima nella sua lettera pastorale, lei parla oltre che della famiglia, anche dei giovani e del territorio. Fede e cultura permeano queste realtà”.
“Il nostro impegno nasce dal Signore, dalla sua Parola. E il nostro cuore non può battere di un battito diverso da quello del Signore.
È innegabile che, in tutti gli strati sociali la famiglia ha perso quella connotazione di chiesa domestica che aveva fino ad alcuni decenni fa, quando i rapporti tra genitori e figli erano impregnati ad autorevolezza ed affetto, e, in questo clima, in modo semplice, ma certamente responsabile, si trasmettevano i grandi valori del vivere civile e della vita cristiana.
Oggi la famiglia vive una crisi profonda per l’irrompere di una cultura che poco ha che vedere con il Vangelo e che diventa acriticamente cultura dominante. La Chiesa cerca di preparare dei formatori e di accompagnare la famiglia in tutta la sua realtà. Noi siciliani abbiamo forte la consapevolezza che la fede ci è stata trasmessa dai nostri padri.
Abbiamo indicato i giovani, perché una fede che non viene trasmessa, è una cultura che guarda al passato e non proietta la sua luce verso il futuro. Le ombre sono da correggere, ma la luce dobbiamo trasmetterla. E abbiamo indicato il territorio perché non rimangano sacche in cui l’azione pastorale non sia presente in modo efficace e creativo”.
Cosa augura al nuovo sito della Pastorale della Cultura?
“Credo che questa nostra iniziativa, questo sito che si vuole chiamare Tuttavia, significa che noi siamo tutti in cammino e che tutta la nostra persona è in cammino seguendo la Via, perché la Chiesa è sempre alla ricerca del volto di Dio”.
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