Introduzione alla lectio divina su Lc 24,46-53
12 maggio 2013 – Ascensione del Signore
46 «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni. 49 E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
50 Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51 Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. 52 Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; 53 e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Salvador Dalì, Ascensione di Cristo, 1958, collezione privata
Non va cercata in questa breve narrazione di Luca la traccia di un evento “storico”, tant’è che lo stesso autore racconta l’ascensione di Cristo in modo molto diverso nel vangelo e negli Atti degli Apostoli, di cui è pure autore. Se ad esempio nel Vangelo l’ascensione è ambientata a Betania il giorno di Pasqua, negli Atti si dice che avvenne nel Monte degli Ulivi dopo quaranta giorni.
Solitamente in queste contraddizioni non infrequenti nei vangeli, chi si professa non credente rileva appunto le prove della inattendibilità storica delle Scritture. E non a torto. I vangeli, in effetti, non sono e non vogliono essere cronache o pezzi di storia, ma sono squarci interpretativi aperti sulla vicenda, quella sì storica, di Gesù di Nazareth.
L’ascensione, allora, ci racconta come la comunità di cui Luca si fa interprete rielabora il distacco da Gesù. E non lo fa in termini puramente consolatori, bensì leggendovi la possibilità di una ripartenza forte, che si fa testimonianza di perdono e conversione per tutte le genti (v. 47). La perdita e l’assenza lacerante, che a volte falcia le nostre vite, facendoci chiudere in una malinconia sterile (“Perché state a guardare il cielo?”) si trasforma nel racconto evangelico in una occasione per ricominciare: “mentre finisce la forma di una storia, inizia «un’altra forma» (Mc 16,12) della stessa storia: nell’una e nell’altra Gesù è il racconto definitivo di Dio fatto a noi uomini” (Enzo Bianchi).
E come Gesù è stato il “testimone fedele” per eccellenza (Ap 1,5), colui che è nato e venuto al mondo “per rendere testimonianza” al Padre (Gv 8,37), allo stesso modo i discepoli sono chiamati a testimoniare l’evento di morte e resurrezione di Gesù stesso, evento che per i Cristiani è il bandolo della matassa, la luce, a volte piccola, ma mai spenta, che illumina questa terra, anche quando siamo tentati di vederla come “quell’atomo opaco di male” in cui gli uomini sembrano dibattersi tra mille violenze, senza trovare mai un senso. Il ruolo di testimoni non è riservato ai contemporanei di Gesù, ma è allargato e propagato agli uomini di ogni tempo dallo Spirito Santo, che a sua volta “non parlerà da sé ma dirà tutto ciò che ha udito… Egli mi glorificherà perché prenderà da me e ve lo annuncerà” (Gv 16,13-14).
Fortificati da questa promessa dello Spirito, in attesa di una investitura di potenza “dall’alto”, i discepoli possono tornare a Gerusalemme, consapevoli che si è avverato quanto cantavano nel Salmo: “Hai mutato la mia tristezza in danza”. Le lacrime si sono fatte canto, lo strappo della perdita ha lasciato spazio alla gioia che si scioglie in preghiera di lode. L’assenza di Cristo, anziché paralizzarci e farci implodere nella paura della morte e del non senso, infonde anche a noi, sotto la guida dello Spirito, la forza operosa della testimonianza, sobria e gioiosa, umile ma ferma.
“Tutti a costruire secondo il modello lasciatoci dal Signore. Che è, dice Paolo, asceso, perché è disceso. Parola luminosa: “è asceso colui che è disceso”. Illuminante indicazione. Come a dire che ascenderemo, ascenderemo veramente come persone, ascenderemo veramente come società, ascenderemo veramente come terra, ascenderemo “se discenderemo”. Cioè se non staremo nelle altezze esclusive, ma come Gesù staremo nel solco della terra, come lui nelle attese di tutti, come lui nella sorte di coloro che attendono un filo di luce e di speranza. Come lui, che come ci fa dire una preghiera eucaristica: “è venuto a condividere la sorte di chi si era perduto”. Se, incalzati da un amore vero, saremo discesi, ci toccherà il destino di ascendere: ascenderemo quaggiù in umanità, umanità vera; ascenderemo un giorno con lui là dove tutto e tutti saremo trasfigurati” (Angelo Casati).
Valentina Chinnici
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