di Francesco Palazzo
“Le più belle calamite”, grida un venditore alla fine del rito di beatificazione. Con un euro puoi appiccarti dove vuoi l’immagine del prete di Brancaccio. Ma quanto rimarrà addosso alla chiesa palermitana e siciliana dell’azione di don Pino? Nella pur vibrante omelia, pronunciata dal cardinale di Palermo, nessuna traccia di un piano pastorale organico da proporre alla chiede di Sicilia. C’era tutto il tempo per pensarlo ed annunciarlo alla folla che ha assistito all’evento, ai prelati di ogni ordine e grado e ai milioni che seguivano in televisione. Folla sino ad un certo punto. Non ci sono stati i centomila annunciati. Nemmeno gli ottantamila di cui parlano alcuni organi d’informazione. Il deflusso, a fine cerimonia, si è completato in non più di dieci minuti. Alcune foto scattate dall’alto ci consegnano una presenza di non più di sessantamila persone.
E non è solo un fatto di audience, per dire la manifestazione è riuscita o no. Sarebbe banale, non era un comizio. Un beato antimafia entra in ogni caso dritto nelle pagine della grande storia. Ma non si può che fare un paragone con i 250 mila che nell’ottobre 2010 tributarono onori a Benedetto XVI, il papa del gran rifiuto, nella stessa spianata, tra l’erba e il mare. Dove sono gli altri 190 mila? Ed anche se vi fossero state centomila presenze, come pur leggo da qualche articolista in rete, evidentemente rimasto legato al palo delle previsioni della vigilia, sarebbe rimasto da chiedersi sugli altri 150 mila rimasti a casa. Insomma, a mio parere, il fatto che c’era di mezzo non un semplice giubilo da tributare ad un santo qualsiasi, ma un riconoscimento a un martire per mano di mafia, ha fatto smuovere direttamente soltanto una minoranza dei milioni di cattolici che si contano nell’isola.
Non è un fatto da trascurare ed è quello che c’era da aspettarsi. Anche tra i presenti, non appena chiedevi cosa può fare da domani di concreto la chiesa contro la mafia, molti come prima reazione si giravano dall’altra parte. A una ventina di persone, rappresentanti di realtà regionali e parrocchiali diverse, ho fatto la stessa domanda. Sapete dirmi una cosa anche piccola contro la criminalità organizzata che voi domani potete mettere in campo nella vostra realtà? Ebbene, da Brancaccio allo Sperone, da Patti a Favara, da Porticello a Godrano, da Marineo a Ciaculli, per fare solo alcuni esempi, non ho ascoltato nessuna risposta puntuale. Sì, ora Puglisi si trova tra Crisostomo e Cosma e Damiano, tra Barnaba e Marcellino, tra Cecilia e Anastasia. Ma, va detto, ad oggi non è linfa che scorre fluida nella chiesa di Sicilia. Forse lo sarà domani o dopodomani. Ma sino a quando i cattolici, attraverso le migliaia di luoghi di culto disseminati capillarmente sul territorio, non decideranno di entrare veramente in campo contro Cosa nostra, Puglisi rimarrà più o meno un santino.
Questo rischio, che era quello più pernicioso, da evitare, non è stato scongiurato del tutto nel prato del Foro Italico. Quello che, se vogliamo tagliare con l’accetta parole e gesti, esce fuori da questo 25 maggio 2013, è che lui è lì e al resto dei prelati e dei fedeli non rimane che affidarsi alla sua intercessione. Beato Puglisi Martire, prega per noi, è stato gridato dall’altare. Ed è come stabilire una distanza siderale tra il quaggiù ed il lassù. Senza contare che ci si è stranamente scordati, nell’elenco delle altre vittime di mafia che pur si è fatto dall’altare, l’altro prete caduto, in Campania, per mano di camorra, nel marzo del 1994, ossia Don Peppe Diana. C’è anche da dire che i mezzi d’informazione nazionali non colgono quanto avvenuto a Palermo. Se ieri visitavate i siti dei tre maggiori riferimenti informativi italiani, la notizia della beatificazione stava al nono, al decimo e al dodicesimo posto. Dopo lo sport, l’Iva e Cannes.
Per finire, l’auspicio è che la chiesa siciliana torni a Puglisi non per alzare gli occhi al cielo ma per comprendere, qui ed ora, come deve posizionarsi con un piano preciso e condiviso contro la mafia e contro la politica che la foraggia. E tornare a Puglisi significa anche riscoprire la sua umiltà e la sua allergia alle cariche e alle onorificenze. Ieri ho sentito che più di un prelato è stato chiamato con il termine di eccellenza. Ecco, Don Pino, oggi beato, quando qualcuno voleva per scherzo affibbiargli un titolo di questo tipo, così rispondeva. “Monsignore a to patri”.
Da Live Sicilia – Domenica 26 Maggio 2013 – 09:17
http://livesicilia.it/2013/05/26/per-il-beato-antimafia-la-folla-resta-a-casa_322600/
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