di Giuseppe Savagnone
In questo nostro paese svuotato di motivazioni e di entusiasmo, maniacalmente concentrato sul Pil e sul debito pubblico (peraltro con risultati fallimentari), non ha avuto molta eco il recente conferimento del premio Nobel per la pace a una ragazza pakistana di 17 anni, Malala Yousafzai, per la sua strenua e rischiosa battaglia in favore dell’emancipazione degli ultimi, e in particolare delle donne. Ma non è tanto di lei che qui voglio parlare, quanto del breve discorso che ella ha tenuto in questa occasione. Sono convinto, infatti, che esso abbia qualcosa da insegnare a chi, come noi, si fregia dell’appartenenza al mondo industrializzato come di un titolo di superiorità rispetto alle nazioni del cosiddetto “terzo mondo”.
«Questo premio», ha detto Malala, «non è solo per me: è per tutti i bambini dimenticati che desiderano un’istruzione». Perché, ha continuato, «l’istruzione è uno dei beni della vita, è una necessità. È quanto ho imparato nei miei 17 anni di vita. A casa, nella valle di Swat, nel Pakistan settentrionale, mi è sempre piaciuto andare a scuola (…). Le mie amiche ed io eravamo assetate di istruzione, perché il nostro futuro era lì, in quell’aula. Ci sedevamo e leggevamo e imparavamo insieme».
Poi, ha continuato la ragazza, «le cose sono cambiate (…). Più di 400 scuole sono state distrutte. Alle ragazze è stato impedito di andare a scuola (…). L’istruzione è passata dall’essere un diritto a essere un reato».
Malala è consapevole che non si tratta di un fenomeno locale. In Nigeria, ella ha ricordato, Boko Haram minaccia e rapisce le ragazze semplicemente perché vanno a scuola». E, aggiungo io, non è un caso che sia stata una scuola il bersaglio dell’atroce massacro perpetrato, proprio in Pakistan, in questi giorni.
Qualcuno si chiederà perché queste parole mi sembrino così significative. Da noi l’istruzione da tempo è un diritto per tutti, ragazzi e ragazze. La situazione descritta dal neo premio Nobel non ci riguarda, anzi conferma che siamo anni luce avanti a tanta parte del mondo.
Eppure forse non è così. Confronto le parole appassionate di Malala con la considerazione che della scuola in Italia abbiamo tutti, studenti, docenti, genitori, opinione pubblica, e di cui il livello degli stipendi e la considerazione sociale dei professori sono un chiaro indicatore. Confronto la sua convinzione circa l’importanza decisiva che essa può avere con la demotivazione di tanti alunni, insegnanti, dirigenti.
Sì, è vero da noi l’istruzione è un diritto, ma un diritto che non è apprezzato, che non è amato e valorizzato, viene a volte vissuto più come un peso che come un’opportunità. Così è accade nella scuola italiana oggi. E allora si cerca disperatamente il modo di farne il meno possibile: se si è alunni si occupano gli istituti, ci si assenta arbitrariamente, si segue svogliatamente; come professori si trascina spesso una stanca routine, senza gioia, senza progettualità, aspettando con ansia la pensione. Non è sempre così, d’accordo. Ma alcune, troppe volte, sì.
«La gente mi chiede perché la scuola è importante, soprattutto per le ragazze. La mia risposta è sempre la stessa. Come ho detto all’Onu: “Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo”».
E noi, che abbiamo urgente bisogno di cambiare, se non il mondo, almeno il nostro paese – per far sì che non sia più la patria della corruzione, del malgoverno, dei privilegi di casta (quanti stipendi e pensioni di centinaia di migliaia di euro l’anno, a fronte dei quattro milioni di italiani che ne percepiscono meno di ottomila!) – , forse dovremmo credere un po’ di più nell’opportunità che la scuola può dare a tutti di essere persone libere e capaci di costruire il loro futuro. E impegnarci a dare nuova vita e nuovo slancio, nella prassi quotidiana, a questa istituzione usurata. In modo da farne il punto di partenza, il laboratorio, di una nuova, più responsabile partecipazione alla cosa pubblica. Per essere degni – noi, evoluti cittadini del “primo mondo” – di Malala e delle altre ragazze che sono pronte a pagare al prezzo della vita i loro sogni.
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