Il testo del Vangelo
9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Come pregare
Il Vangelo di questa domenica ha come punto fondamentale la preghiera: al capitolo 18, Luca aveva introdotto il tema: «Gesù dice una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1).
La parabola del giudice iniquo e della vedova insistente (Lc 18,1-8), proclamata domenica scorsa, ha sottolineato la necessità di pregare sempre, il Vangelo di oggi ci mostra invece come pregare.
Un fariseo e un pubblicano
I protagonisti del racconto sono due: il fariseo, parte della corrente “spirituale” del giudaismo, e un pubblicano, un funzionario fiscale che collaborava con i romani nella raccolta delle tasse; entrambi si trovano al Tempio, luogo della presenza di Dio, nell’ora della preghiera.
La cornice dell’evangelista inquadra sin dall’inizio la narrazione: «egli disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti disprezzavano gli altri» (Lc 18,9). La parabola è quindi rivolta da Gesù a coloro che a causa della loro osservanza della Legge ritengono di essere giusti di fronte Dio e finiscono per disprezzare gli altri.
Cosa sbaglia il fariseo?
Il fariseo, scrupoloso nell’osservanza della forma, in piedi, pregando sottovoce, ringrazia Dio per essere un separato, cioè lontano dal peccato. Il fariseo è una figura drammatica. Non è un incoerente, che dice ma non fa, egli esegue puntualmente quanto prescritto dalla tradizione circa la preghiera.
E prega esattamente come suggerisce il Talmud: «Io ti ringrazio, Signore mio Dio, di avermi fatto partecipe di quelli che siedono a istruirsi nella tua casa, e non di quelli che siedono agli angoli delle strade. Perché, io quanto loro, ci alziamo presto: io, per avviarmi alle parole della legge, loro per avviarsi alla vanità. Ambedue corriamo: io verso la vita del mondo che verrà, loro verso la fossa della perdizione».
Sant’Agostino sintetizza in pochi versi l’atteggiamento del fariseo: “Era salito per pregare; ma non volle pregare Dio, bensì lodare se stesso” (Discorsi 115,2). Il fariseo della parabola con il suo zelo va oltre il rispetto della Legge, compiendo più di quanto richiesto, pagando le decime anche dove non tenuto e digiunando più frequentemente di quanto richiesto. Dove sta l’errore? È un uomo buono.
La consapevolezza di se stessi
L’entrata in scena del pubblicano, categoria odiata e disprezzata perché sfruttavano la povera gente, apre il racconto ad un nuovo senso. Il pubblicano non entra nel tempio, se ne sta all’esterno consapevole del suo peccato e più che pregare grida verso l’alto, «non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo “O Dio, abbi pietà di me, (che sono) peccatore”» (Lc 18,13).
L’essenziale preghiera del pubblicano, non si ferma riconoscimento del proprio peccato, ma manifesta la sua consapevolezza di essere bisognoso del perdono di Dio; non può vantare nulla, può solo affidarsi alla misericordia di Dio.
Confrontarsi con Dio e non con gli altri
Gesù commenta quindi il racconto affermando che il pubblicano tornò «a causa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14). L’errore del fariseo sta nel confronto che istituisce tra sé e gli altri invece che con Dio, quando afferma: «E non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano». (Lc 18,11).
Pregare è accettare il confronto con Dio che è l’unico liberante ed autentico, perché davanti a Dio non è possibile sfuggire.
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