I processi deliberativi (giurie dei cittadini, bilanci partecipativi, sondaggi deliberativi, dibattiti pubblici, esperienze di protezione civile partecipata, di urbanistica partecipata) potrebbero immettere dosi massicce di fiducia civica nel corpo della democrazia rappresentativa. Vorrei illustrare ora la convinzione per cui analoghi processi potranno avere un buon impatto nella vita delle nostre comunità diocesane, soprattutto al fine di “mettere meglio in circolo le Energie trinitarie” che spesso sono come bloccate dalle nostre imperfezioni, disorganizzazioni, incomunicabilità tra vocazioni, carismi, ministeri. Sarebbe come allargare alla dimensione ecclesiale la preghiera del 26 agosto 1942 con cui Etty Hillesum domandava di avere le forze per togliere sabbia e pietre dalla sorgente “molto profonda” in cui c’è Dio, dentro di lei! Chiamerò “sinodali” questi processi ecclesiali, come “deliberativi” sono quelli civili. Il legame culturale tra le considerazioni che seguiranno e quelle contenute nel precedente mio contributo potrebbe essere dato dalla figura dei facilitatori dei processi sinodali, ricollegandomi alla esperienza dei 200 tavoli di confronto durante l’ultimo convegno ecclesiale di Firenze del novembre 2015. Formare “facilitatori ecclesiali” di processi sinodali sarà un bel compito che le nostre chiese diocesane potranno prendersi nei prossimi anni…. Inoltre, credo che in questo cammino innovativo dovremo lasciarci aiutare da chi ha un expertise tecnico (pedagogisti, psicologi, esperti di processi partecipativi). Tra le figure di professionisti da coinvolgere, sicuramente anche gli storici, che ci aiuteranno a fare memoria viva dell’importante esperienza dei nostri recenti sinodi diocesani.
Riprendo adesso una sintesi di cosa sia “la sinodalità, come la descrive Mons. Giulio Brambilla, vescovo di Novara, durante un suo intervento del 21.11.2014 facilmente rintracciabile in rete: “ (…) Per questo il senso ecclesiale del vocabolo sfocia sul significato cristologico: Cristo è il “compagno di viaggio” e la chiesa è l’assemblea dei credenti che ha in mezzo a loro Gesù come compagno di strada (Emmaus: “camminava con loro” Lc 24,15). Per questo diceva con espressione lapidaria Giovanni Crisostomo: Ekklesía… synódou estìn ónoma, “il nome del sinodo… dice la chiesa stessa, il sinodo… è il nome della chiesa”! (…).”
Una seconda premessa: dobbiamo fare più nostro il discorso tenuto il 17.10. 2015 da Papa Francesco in occasione dei 50 anni del Sinodo dei vescovi. Per quel che riguarda questo contributo, ricordo il seguente passo: “(…) Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. Dopo aver richiamato la nobile istituzione del Sinodo diocesano, nel quale Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di tutta la comunità ecclesiale[22], il codice di diritto canonico dedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli “organismi di comunione” della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale[23]. Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col “basso” e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e condivisione (…)”.
Ignoro se esistano studi empirici, ma a pelle credo che un po’ tutti noi siamo “sconsolati” dalla realtà dei consigli pastorali parrocchiali/diocesani, luoghi dove si dovrebbe sperimentare la comunione ed il discernimento comunitario che in realtà diventano momenti poco qualificanti, poco partecipati, lasciati alla buona volontà del parroco o del segretario del Consiglio pastorale parrocchiale/diocesano: un ostacolo alla vita cristiana, piuttosto che un propulsore di relazioni buone e generatrici di stili, attitudini, metodi di vita comunitaria! Ovviamente, non mancano le eccezioni, cioè gli esempi di consigli pastorali/diocesani ben preparati, con l’invio degli OdG diversi giorni prima, i cui membri sono in parte eletti, dove si discute anche del bilancio economico della parrocchia o della diocesi, dove viene condivisa la verbalizzazione delle discussioni svolte…ma il più delle volte gli stessi organismi sinodali nella pratica sono più organismi di informazione (dal parroco verso i membri del CPP, raramente anche il contrario) che di coinvolgimento e corresponsabilità effettiva ed affettiva nella missione di annunciare Dio-Amore-Gesù. Propongo di passare dalla cura degli organismi alla cura dei processi sinodali per migliorare le relazioni ecclesiali tra Popolo di Dio e Vescovo, tra Presbiteri e laiche e laici, tra Presbiteri tra di loro, e tra laiche e laici tra di loro. Curare meglio i processi sinodali vuol dire innanzitutto studiare cosa non va nei nostri consigli pastorali, promuovere le buone pratiche sicuramente esistenti nelle nostre diocesi, farsi aiutare da professionisti che già applicano per lavoro buone metodologie nella gestione dei processi partecipativi. I processi sinodali potrebbero diventare “processi intenzionalmente strutturati” per arrivare lì dove la forma novecentesca del convegno non può più, per sua propria natura: far emergere anche i nodi, le difficoltà, le fatiche, non solo le cose belle o la condivisione dell’ovvio. Attraversare insieme le zone oscure e le fatiche è un’epica ecclesiale che stiamo veramente trascurando da quel dì…eppure, quanto cementa vivere e superare insieme un ostacolo, una paura, un pericolo? Ci sarà utile tornare ai testi che già hanno inaugurato uno stile, penso ad esempio a M.I. Rupnik, Il discernimento. Seconda parte: come rimanere con Cristo, Lipa, Roma 2001.
Riprendendo il passo citato dal discorso del Papa, la pastorale della cultura potrebbe aiutare a chiederci:
-
Quanto i nostri organismi sinodali diocesani rimangono connessi col “basso”?
-
Quanto partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno?
-
Perché, qualche volta o spesso, procedono con stanchezza?
-
Quando e come sono occasione di ascolto e condivisione?
Se dovessi sintetizzare lo scopo e l’utilità di questi processi, darei tre risposte:
– Favorire una “sinodalita’ felice” vuol dire aiutare bambini, giovani, adulti, nonni, presbiteri, laiche e laici, religiosi, membri di gruppi, aggregazioni e movimenti a sperimentare occasioni di discernimento comunitario possibile e gioioso, durante i quali rallegrarsi per come Dio realmente si fa presente nella nostra storia, provando il piacere di essere “Santo popolo fedele di Dio in cammino.
-Avviare processi sinodali ci aiuterà a consigliare i nostri Pastori su come rendere “udibile” in maniera continuativa la voce dei più poveri e piccoli, dei più fragili, di chi è rimasto indietro nella società.
-Infine, e qui è nodale il contributo della pastorale della cultura, sarà sempre più necessario elaborare degli indicatori “socio-pastorali” per offrire al Vescovo una griglia condivisa, utile a capire che tipo di comunita’ diocesana siamo, verso dove stiamo andando (soprattutto in relazione alle sfide di Evangelii Gaudium), a che punto siamo nel cammino, etc .
Immaginiamo per un momento di essere nella diocesi di Nuova Tagaste e proviamo a narrare che tipo di processi sinodali sono stati sperimentati. Nuova Tagaste non è poi così irreale, perché raccoglie le tante buone pratiche sinodali diffuse tra le nostre comunità, fa tesoro di un humus spirituale di qualità, fatto di celebrazioni eucaristiche partecipate, di riconciliazioni con Dio che danno gioia ai presbiteri ed ai fedeli, di una capillare diffusione di Lectionae Divinae, etc.
-
Abbiamo individuato una “quota” delle priorità e dei contenuti del programma pastorale diocesano o parrocchiale, ricorrendo al metodo della giuria dei cittadini. Presbiteri, laicato, carismi ed ordini religiosi aiutano alcuni fedeli scelti a sorte nel capire a cosa dare priorità, ma è questa “giuria di fedeli” che elabora un documento scritto e lo sottopone al Pastore.
-
Abbiamo affrontato alcune grandi scelte con la metodologia del dibattito pubblico. A Nuova Tagaste, per ciascuna delle seguenti tematiche si sono iniziati dei percorsi della durata di 4-6 mesi durante i quali un facilitatore opportunamente formato ha disegnato il processo, lo ha condotto, ha aiutato i partecipanti a relazionarsi tra di loro, a mettere a fuoco le questioni, ad intervenire per porre domande e dubbi, a mettere in comune studi ed interventi scritti: Come stiamo vivendo le sfide della secolarità e della compresenza di più religioni e visioni di vita? Come affrontiamo la crisi dell’iniziazione cristiana, evidenziata da un recente studio dell’Istituto Toniolo? Come ci prepariamo ad una previsione che vedrà i matrimoni cattolici assottigliarsi sempre più e contemporaneamente (conseguentemente?) ridurre le vocazioni al sacerdozio ministeriale? Come ci stiamo preparando, come Popolo di Dio, al momento in cui i vescovi italiani, per la prima volta, determineranno la terna episcopale da presentare al Papa per la scelta del prossimo Presidente della Conferenza episcopale italiana?
-
Abbiamo studiato le modalità con cui alcune aggregazioni ecclesiali (Aci, Acli, Uciim, Aimc, Mcl) sperimentano il metodo democratico al proprio interno e le regole degli ordini religiosi che hanno fatto del discernimento un metodo da donare a tutta la comunità.
-
Il laicato diocesano di Nuova Tagaste ha deciso di attivarsi per aiutare i propri presbiteri a valutare e migliorare la qualità omiletica. Abbiamo analizzato la situazione di partenza, riconoscendo che i sacerdoti si soffermavano assai poco sulla Prima Lettura e “tracimavano” in considerazioni sociologiche non attinenti con i Vangeli. Si sono adattati i Sondaggi deliberativi ai punti di EG che trattano dell’Omelia ed abbiamo così misurato il grado di attenzione/interesse/comprensione che la singola Omelia ha suscitato. A Nuova Tagaste, nelle parrocchie dove si sperimenta questa modalità sinodale, i questionari sono distribuiti e compilati in forma anonima prima della S. Messa ed alla fine.
-
Ci siamo ricordati che nel 1969, S. Arnstein lanciò la scala della partecipazione, cioè una scala di indicatori attraverso i quali misurare il grado di partecipazione di un incontro civico, istituzionale, sociale, etc. Eccone i gradini: essere manipolati, essere informati, essere tenuti al corrente ,essere consultati, essere coinvolti, essere resi codecisori. A Nuova Tagaste, abbiamo adattato ecclesialmente la scala della partecipazione ed abbiamo iniziato misurare quanto i piccoli ed i poveri camminino insieme a noi: il livello più basso è quello in cui ci dimentichiamo di loro; il livello 1 è quello in cui parliamo dei piccoli e dei poveri; il livello 2 è quello in cui parliamo ai piccoli ed ai poveri; il livello 3 è quello in cui facciamo parlare i rappresentanti dei piccoli e dei poveri (es. Caritas, San Vincenzo, Papa Giovanni, Banco Alimentare, etc) il livello 4 è quello in cui parliamo con i piccoli ed i poveri; il livello più elevato è quello in cui facciamo parlare i piccoli ed i poveri e noi ci poniamo in un atteggiamento di ascolto. Celebriamo così il discernimento comunitario, provando a mettere in cattedra i piccoli ed i poveri.
Attivare dei processi di ascolto e dialogo efficaci può voler dire mettere in cantiere il fatto che le nostre proposte vengano “smantellate” e ridimensionate da coloro che ascoltiamo e con cui dialoghiamo. Un’altra preoccupazione che mi aspetto di rilevare è quella per cui dal dialogare insieme possano venir fuori idee teologicamente strampalate se non perniciose. Queste paure nascono, la prima, dall’orgoglio di sentirci inattaccabili (quanto ci farebbe bene un bagno di umiltà organizzativa…), la seconda da un legittimo zelo nella custodia del depositum fidei: sono preoccupazioni di sottofondo che potrebbero spingere implicitamente qualche presbitero ed anche qualche laico a non appoggiare i processi di miglioramento della qualità sinodale delle nostre comunità. Ma occorre osare, riducendo questi rischi, sapendo che i processi sinodali saranno tutti cum Episcopo e sub Episcopo (papa Francesco ha detto del sinodo sulla famiglia che si è svolto Cum Petro e Sub Petro) e che saremo chiamati ad essere Chiesa in uscita, a pensare ed organizzare in modo diverso da come sinora, forse stancamente, abbiamo fatto.
Progettare, realizzare, valutare i processi sinodali potrebbe sicuramente servire a dare densità di popolo e forma organica ai canoni 228 e 229 del codice di diritto canonico, soprattutto lì dove si evidenzia la idoneità dei laici a prestare aiuto ai Pastori come esperti o consiglieri. Il Can. 228 , §2 del Codice di diritto canonica così recita: I laici che si distinguono per scienza adeguata, per prudenza e per onestà, sono idonei a prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del diritto.
Per aumentare il numero dei laici “ esperti o consiglieri” occorre favorire la formazione ordinaria delle adulte e degli adulti che compongono il laicato nelle nostre diocesi. Infatti, accanto ai doni gerarchici ed ai doni straordinari dei gruppi, movimenti, nuove comunità nate dal Concilio Vaticano II, non finiremo mai di ringraziare Dio anche per il dono dei fedeli comuni. In questo ambito formativo, una chiamata particolare è dell’Azione cattolica diocesana, delle Acli, dell’UCIIM, dell’AIMC; degli insegnanti di religione, delle laiche e dei laici che hanno impegni pubblici per la loro professione oppure per servizio istituzionale/politico. Non si tratta di fare della Chiesa una democrazia. Piuttosto, di aiutarla a riscoprire di essere una “dem-odia”, popolo santo di Dio in cammino. Opportunamente scrive Pasquale Bua su Vita Pastorale di Gennaio 2017, pag. 44: (…) Anche se all’interno del popolo di Dio il parere dei laici è normalmente “soltanto” consultivo, non si può sottovalutare l’importanza teologica e pastorale di tale consultazione, fondata sulla dottrina del sensus fidelium: è ascoltando la voce dei fedeli che i Pastori giungono, attraverso un attento discernimento, alla decisione pastorale. In tal modo, nella Chiesa, solo i pastori possiedono la responsabilità della decisione (decision taking), ma tutto il popolo di Dio (dunque i pastori mai senza i fedeli laici) concorre alla sua elaborazione (decision making) (…).
Mons. Domenico Amato, durante gli anni al Movimento Studenti di Azione Cattolica, ci fece conoscere ed amare la lettera A Diogneto; in essa si descrive la doppia cittadinanza dei discepoli di Gesù, una duplice identità propria soprattutto dei battezzati che compongono il laicato cattolico diocesano. Le scelte politiche, sindacali, costituzionali hanno visto negli ultimi decenni i cattolici distinguersi per differenti posizionamenti. Il partito unico cristiano (La Democrazia cristiana) è reputato un rimpianto per gli uni, un impiccio per gli altri. Ecco, assodata la legittima pluralità delle opinioni politiche dei credenti e di tante sfumature nel pensare il rapporto Chiesa- mondo, potremo facilmente ed operosamente ritrovarci sul piano della simultaneità dei processi da innescare: deliberativi nelle/per le nostre città, sinodali nelle/per le nostre diocesi.
Nella chiesa, le relazioni sono forse più importanti dei contenuti. Come Chiesa, siamo convocati ad immagine di un Dio Relazionale di cui icona è il dipinto di Rublev. Se la cura dei processi sinodali servirà a migliorare la qualità spirituale dei luoghi del camminare insieme, forse anche la nostra configurazione trinitaria potrà rendere bella la Sposa in attesa del ritorno del Re della Storia. Concludo con una citazione da una riflessione di 30 anni fa di don Giuseppe Dossetti che, in fasi distinte ma non separata della sua biografia, ha servito le istituzioni repubblicane e la Chiesa cattolica. A lui mi sono ispirato per osare pensare, in questi due contributi, alla plausibilità dell’accostamento tra processi deliberativi nelle nostre città ed ai processi sinodali nelle nostre diocesi. Spero di essere riuscito a dare le adeguate motivazioni in questo scritto che termino proprio nel giorno della nascita in Dio di Christian Albini, un teologo che ha tenuto il prezioso blog Sperare per tutti: “Come la Chiesa riunita nell’assemblea eucaristica è l’epifania anticipata del Regno, così la Chiesa inviata dall’ Eucarestia è un’epifania se volete della polis salvata: politicità tutta sui generis, che non governa e non ha potere, che non muove verso gli altri per quello che hanno di appetibile, ma unicamente per quello che sono in mysterio (anche se poveri, deformi, incoscienti, in tutto inappetibili): cioè non incontra l’uomo dall’esterno e in superficie, ma lo incontra nel suo sé più intimo, più invisibile, più pneumatico, creando e divulgando ovunque – nel senso di ogni società grande o piccola, soprattutto nei micromodelli di comunità nuove che alcuni sociologi ora raccomandano- un’atmosfera di rispetto, di comprensione, di fiducia, di valorizzazione degli esclusi, di amore oblativo- indipendente da ogni condizione esterna mutevole- che non avrà mai fine ( 1 Cor 13, 8) (Giuseppe Dossetti, La parola e il silenzio, Il Mulino, pag 187).
Dedico questo secondo e conclusivo contributo alla memoria viva di Franca Maggioni Sesti, di don Lillo Spinelli, di don Lazzaro, di Lucio Raffa, di zia Stella Carastro, della signorina Maria Zema, del prof. Giuseppe Ceci, di don Pino Scabini, di don Silvano Ghilardi, di mons. Antonio Lanfranchi, di padre Pio Parisi. Ubi Babel, ibi Ninive, ibi Ecclesia, ibi Gratia. Babele è città anti-simbolica, diabolica, erede di Caino, Lamech e Tubalkain (Gn 4, 19.23), con la cui torre gli umani volevano salire sino in Cielo per guerreggiare contro Dio. Operare per processi deliberativi e sinodali può sottrarre spazio all’inferno in terra di cui parla Italo Calvino in conclusione de Le Città invisibili del 1972 ed a quello nell’aldilà di cui ci parlano i Novissimi; può rendere Babele un po’ più Ninive, in attesa dei suoi Giona, piena di giardini in cui tutti – umane ed umani, e noi con il nostro stile di discepoli innamorati di Gesù- potremo incontrarci, apprendere le une dagli altri, in attesa della seconda Venuta di Gesù che, sin dalla Croce, ha già iniziato a compiersi.
Lascia un commento