1 Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2 Lo chiamò e gli disse: «Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare». 3 L’amministratore disse tra sé: «Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4 So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua». 5 Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: «Tu quanto devi al mio padrone?». 6 Quello rispose: «Cento barili d’olio». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta». 7 Poi disse a un altro: «Tu quanto devi?». Rispose: «Cento misure di grano». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta». 8 Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9 Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Non potete servire Dio e la ricchezza10 Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11 Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13 Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Il brano del Vangelo di questa domenica è difficile da comprendere: un uomo disonesto è proposto, in qualche modo, come modello. Per provare ad accogliere questa parola, diversa dalle nostre attese, dobbiamo leggerla nel contesto in cui è l’evangelista Luca la inserisce.
Il dibattito con i Farisei
Il testo segue la parabola del padre misericordioso, che a sua volta è preceduta da altre parabole, in un crescendo in cui di delinea chiaramente la distanza tra Gesù e i farisei. Infatti, queste parabole prendono le mosse dalla mormorazione dei farisei contro Gesù («Costui riceve i peccatori e mangia con loro» – Lc 15,2).
Essi considerano la sua vicinanza ai peccatori un “tradimento” della legge di Mosè, una minaccia per il rigore morale che, nella loro visione della religiosità, deve caratterizzare l’appartenenza alla casa del Padre. La figura del fratello maggiore, che non vuole entrare in casa, ne è un esempio.
“Rendere conto” a Dio
Nella cornice di questo dibattito si inserisce il racconto in cui a un amministratore è richiesto di rendere conto del suo operato. I farisei ritenevano, con la loro ortodossia e aderenza formale alle leggi, di poter “reggere” un rendiconto di giustizia da parte di Dio. L’uomo di questa parabola è un modello non per la sua disonestà, ma perché è simbolo della condizione reale in cui ogni uomo è di fronte al giudizio: peccatore. E i farisei sono incapaci di accettare questa evidenza.
La strada dell’amicizia
Come uomini, la nostra amministrazione, ha sempre e strutturalmente qualcosa di sbagliato. Di fronte al giudizio, l’amministratore si rende conto dei propri limiti: non ha la forza per lavorare nei campi e ha vergogna di chiedere l’elemosina. La soluzione che trova coinvolge gli altri, i debitori del suo padrone, nel tentativo di farseli amici. Non è chiaro se, in questo “ribasso” dei debiti, il fattore rinunci alla sua parte o stia realmente facendo una frode a danno del suo padrone.
Comunque, per cogliere l’analogia della parabola, senza limitarsi all’analisi dei suoi singoli dettagli, la soluzione dell’amministratore è “relazionale”, cerca la strada all’amicizia e non dell’autonomia.
Dal “commercio” alla misericordia
Il gesto di abbassare i debiti degli altri, anche se nella disonestà, è lodato dall’amministratore. Non è lodata la disonestà ma la scaltrezza. Tale scaltrezza potrebbe consistere nell’aver prontamente cercato un’altra ricchezza, che non è il denaro ma la riconoscenza, oppure nell’aver individuato la salvezza non in se stessi ma negli altri, per essere accolti nelle loro case.
Questo approccio è diametralmente opposto a quello dei farisei, che “commerciano” con Dio, credono di poter avere credito o debito presso di Lui, senza percepirne la gratuità e la misericordia. La parabola è dura per i farisei, perché emerge in modo chiaro che Gesù li ritiene disonesti amministratori della religiosità e interessati unicamente alla ricchezza e ai privilegi della loro posizione.
Quale ricchezza è nostra?
Nel testo è poi detto che i figli “del mondo” sono più scaltri dei figli della luce, come a voler prendere le distanza dall’episodio raccontato. Eppure dobbiamo chiederci perché questa enigmatica parabola è riportata e che cosa vuole comunicarci. Ciò che possiamo assimilare è che la nostra ricchezza è sempre un dono, che non siamo mai del tutto “onesti” davanti a Dio (anche se camminiamo verso questa meta) ma che siamo da Lui immensamente amati e perdonati.
La nostra disonesta ricchezza va usata per il bene degli altri e, ogni volta che perdoniamo e facciamo il bene, stiamo saldando un debito e non accumulando “crediti” di cui inorgoglirci. I farisei lo sbeffeggiano per queste parole, ma il Maestro tornerà con forza in un’altra parabola durissima sulla ricchezza, su cui rifletteremo domenica prossima.
Lascia un commento