Ritengo importante questa premessa biografica, fatta di date e nomi e di desiderio di gratitudine, perché così posso motivare la scelta di dedicare queste righe a don Nuccio Santoro, assistente diocesano MSAC di Reggio Calabria negli anni ottanta e novanta del secolo scorso.
È il modo che ho scelto per iniziare questo contributo per celebrare i 150 anni dell’Azione Cattolica Italiana. Si articola in tre punti.
Le varie forme associative in 150 anni
Il primo punto è su che tipo di identità abbia la ACI. Se non erro il filosofo francese Paul Ricoeur è stato il primo a distinguere tra “ipseità” e “medesimezza”. Quest’ultima parola indica una identità che si vuole granitica, che quasi si fa vanto della propria impenetrabilità. Alla dimensione dell’ipseità, invece, si richiama una soggettività che accetta la mutevolezza, il confronto con le altre soggettività e soprattutto considera il trascorrere del tempo, dei decenni, non solo come una benedizione, ma come un “habitat” in cui crescere. Mi sembra di poter dire che l’Azione Cattolica sia stata un esempio associato di ipseità vitale; questo quadro potrebbe aiutare a capire come sia possibile che un’unica ACI abbia visto convivere al proprio interno l’intransigentismo giovanile di fine Ottocento verso il Regno d’Italia, da un lato, la dedizione civica di molte sue donne ed uomini per la diffusione della democrazia repubblicana dall’altro; il tentativo di cattolicizzare il regime fascista, prima, con la partecipazione ai fermenti sociali nelle scuole, nelle fabbriche negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso per giungere, a fine secolo, alla adesione a Libera ed alle tante tavole per la pace insieme a cittadini di diversa estrazione culturale, anche non credenti, atei, agnostici.
La kenosi numerica e la limpidezza evalizzatrice
Un secondo elemento su cui esercitare una meditazione storico-spirituale è la profonda “kenosi” del numero degli iscritti, uno svuotamento cospicuo dei tesserati che, durante gli anni dell’Onnipotenza (come li definiva Mario Rossi), avevano superato i due milioni. In particolare, è la modalità con cui si è scelto di vivere questa drastica riduzione.
Mi ha sempre colpito nell’insegnamento di Vittorio Bachelet (il primo Presidente nazionale successivo al Concilio Vaticano II) la serena fiducia in Dio dinanzi alle profonde trasformazioni che l’aratro della storia aveva innescato: egli, invece di rammaricarsi per i tempi andati, invitava la ACI ad uscire a seminare per una nuova avventura di evangelizzazione. A questo cambiamento organizzativo si collega una particolarità a mio avviso non ancora pienamente indagata dagli storici della nostra associazione e del mondo cattolico: dall’ACI (ed in particolare dalla sua componente studentesca del Movimento Studenti) hanno più o meno diretta scaturigine alcuni importanti movimenti ecclesiali quali: l’Opera di Maria (Nel 1939, Chiara Lubich ebbe a Loreto una prima visione del Focolare, mentre partecipava ad un incontro delle studentesse di ACI), Comunione e Liberazione (è noto che don Giussani sia stato assistente di Gioventù Studentesca a Milano nel 1954) ed anche la Comunità di Sant’Egidio (il fondatore Andrea Riccardi fece esperienza del raggio studentesco al Liceo romano “Virgilio” ed il raggio era la proposta che gli studenti di Azione Cattolica proponevano per l’animazione scolastica). La professoressa Bianca Crocè Vanzetto, nella sua testimonianza rilasciatami per il sito dei 100 anni del MSAC, riferisce che dal Movimento studenti di ACI di Roma provenivano anche i primi membri del Cammino neocatecumenale nella diocesi di Pietro.
Dopo questa rapida disamina più sapienziale che storiograficamente esaustiva (e per questo punto rimando, tra i tanti validi contributi, ai preziosi studi di Ernesto Preziosi e di Saretta Marotta), è bello pregare e sognare insieme quali potrebbero essere le prospettive per l’ACI, in una Chiesa in uscita, fedele e creativa interprete del magistero ecclesiale a servizio delle città, dei quartieri, dei luoghi di lavoro, delle tante fragilità che ci contraddistinguono.
Dediti al contempo alla Chiesa ed alla Polis
La terza prospettiva nasce da un convincimento profondo che ho maturato in questi ultimi anni: la nostra associazione nasce per servire contemporaneamente Chiesa e Polis, in attesa della Gerusalemme Celeste. La Aci Nazionale ha opportunamente scelto di rileggere il senso della propria missione alla luce non solo del Concilio Vaticano II, ma in particolare dell’Esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelli Gaudium: questa scelta associativa potrebbe abbinarsi felicemente con una nuova diffusione popolare della teologia del laicato, inserito nel santo popolo fedele di Dio a cui il Papa continuamente si rivolge. L’ACI potrebbe scegliere di appoggiare con serena determinazione la via della democrazia deliberativa, dell’ascolto attivo e dei confronti creativi. Da due anni sono entrato in un cammino di esplorazione culturale di questa nuova frontiera del vivere civile e grazie al dottorato in Scienze presso l’UNIVPM delle Marche (con tutor il prof. Fausto Marincioni) ho conosciuto o reincontrato studiosi ed esperti di processi partecipativi che prima di tutto reputo belle persone: Aaron Allegra, Giovanni Allegretti, Agnese Bertello, il compianto Luigi Bobbio, Ilario Casillo, Giovanni Cogliandro, Francesca Cognetti, Fabio Cucculelli, Gerardo De Luzemberger, Donato Di Memmo, Simone Franceschetti, Mauro Fotia, Antonio Floridia, Francesca Gelli, Susan George, Sophie Guillain, Nino Labate, Giovanni Laino, Teresa Lapis, Rodolfo Lewanski, Domenico Mimmo Marino, Andrea Mariotto, Marco Olivetti, Liliana Padovani, Ernesto Preziosi, Iolanda Romano, Annalisa Pecoriello, Chiara Pignaris, Andrea Pillon, Irene Rossetti, Vittorio Sammarco, Giuseppe Savagnone, Marianella Sclavi, il Team della Simurg, i promotori del centro sociale Django di Treviso, i soci di AIP2- Associazione per la partecipazione pubblica ed i corsi dello IUAV in Azione locale partecipata e dibattito pubblico.
La democrazia deliberativa può essere una modalità efficacissima per rispondere all’appello del Papa di impegnarci in una Politica con la maiuscola (invito pressante formulato ai soci di ACI il 30 aprile 2017). In particolare, proprio per essere immediatamente incisivi nei confronti delle dinamiche del nostro corpaccione repubblicano, la ACI potrebbe lanciare nella discussione pubblica il tema della valorizzazione del ruolo di coordinatori di un processo partecipativo, che nascono, ad esempio, per discutere i pro ed i contra della collocazione di una grande infrastruttura oppure la destinazione di una quota parte del bilancio comunale per progetti votati dai cittadini o per disegnare progetti per la inclusione di persone che vivono in condizioni di marginalità, etc. La ACI potrebbe laicamente spendersi per la formazione di questa figura professionale che si spende per il bene comune: il facilitatore di un processo partecipativo è un esperto di politiche urbane, di storia delle istituzioni repubblicane, di design di processo, di team building, di negoziazione e che ha un minimo di abilità nella auto-valutazione, che è un minimo giurista di diritto amministrativo e soprattutto un facilitatore di eque relazioni dialoganti, cioè che sappia gestire OST, planning for real, charrette, word café, etc. La passione civile dell’ACI ha da ingaggiarsi nella formazione di questa nuova figura democratica, epistemicamente un esploratore di mondi possibili, istituzionalmente un innovatore di processi inclusivi.
Contemporaneamente alla scelta deliberativa, l’ACI potrebbe entrare in discernimento con il Papa ed i vescovi per proporsi come soggetto co-generatore di processi sinodali all’interno del corpo ecclesiale. Papa Francesco ha fatto/costruito/creato sinodalità e sul suo esempio si muoveranno le nostre realtà ecclesiali, magari aiutate dall’ACI e mettendo in gioco la santa esperienza civile sperimentata nel promuovere la democrazia deliberativa.
Per mostrare la prolificità di quello che definisco un potenziale nuovo ministero ecclesiale, vorrei riprendere alcune richieste formulate da papa Francesco il 21 maggio 2018, nel suo discorso alla 71 Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Il Pontefice ha indicato almeno quattro ambiti su cui pregare e fare discernimento comunitario:
-La crisi delle vocazioni. Ha lanciato la proposta di istituire dei sacerdoti “fidei donum” da una Regione italiana all’altra, ad esempio dalla Puglia al Piemonte.
-La gestione dei Seminari, delle chiese, dei monasteri, dei conventi che saranno probabilmente chiusi nei prossimi anni per mancanza di vocazioni.
– Come aumentare la corresponsabilità e la trasparenza nella gestione dei beni ecclesiali.
– Come affrontare la riduzione e l’accorpamento delle diocesi, su cui il Papa aveva chiesto di riflettere già dal 2013. Mentre scrivo mi viene in mente che quest’ultima dinamica trova una similitudine con il trend istituzionale ed amministrativo delle unioni di Comuni.
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