A chi si chiedeva se potesse esserci qualcosa di peggio della situazione che si era creata alla vigilia della formazione del governo Monti, con una classe politica ingessata e ripiegata sulla difesa dei propri privilegi, mentre il Paese colava a picco, la risposta la stanno dando gli eventi (o forse sarebbe meglio dire i non-eventi) di queste settimane successive alle elezioni. Sì, qualcosa di peggio era possibile, e ora lo sappiamo: una classe politica ingessata e ripiegata sulla difesa dei propri privilegi, con l’aggiunta di una nuova forza che pretende di eliminarla in blocco, senza essere capace di inserirsi nella dialettica istituzionale del confronto e di contribuire così, effettivamente, a un processo di rinnovamento.
I dati negativi del passato sono rimasti tutti: un Pd con spiccate tendenze suicide, che, invece di fare il suo mestiere di partito di sinistra, chiamato a privilegiare, nello stile e nei programmi, la dimensione della solidarietà, si presenta lacerato dagli individualismi dei suoi leader e segnato da una cronica mancanza di idee; un Pdl che, invece di fare il suo mestiere di partito di destra, chiamato a privilegiare i diritti di libertà, continua ad essere ossessionato dalla difesa degli interessi del suo fondatore e leader; un centro inconsistente, reso ancora più debole dalla scoperta che Monti non ha nessuna voglia di esserne la guida; una Lega che cerca vanamente di mascherare il fallimento delle sue pretese di essere un’alternativa a “Roma ladrona” moltiplicando gli attacchi ai “nemici” interni ed esterni.
Un bel quadretto, a cui eravamo abituati. Quello a cui non eravamo abituati è stato lo spettacolo offerto dal movimento 5 stelle. In uno dei precedenti “chiaroscuri” ho scritto che capivo chi lo ha votato, spinto dall’esasperazione e dalla speranza di una rottura col passato. Confermo la mia comprensione per il voto dato nella tornata elettorale del 24 e 25 febbraio. Spero, però, che chi aveva puntato su Grillo e i “grillini” si sia finalmente reso conto dell’equivoco. In realtà, l’accusa di anti-politica rivolta al movimento 5 stelle era infondata. Ma anche la speranza di una forza politica che entrasse sulla scena parlamentare per rinnovare il Paese lo era. Grillo vuole fare politica, eccome! Ma non vuole partecipare al governo dell’Italia con gli strumenti offerti dal parlamento, che implicherebbero inevitabilmente una collaborazione con altre forze politiche: vuole tutto il potere, per esercitarlo senza limiti.
Lo ha detto esplicitamente più volte: quello che gli interessa è avere il 100% dei voti – in altri termini: eliminare le altre componenti parlamentari, “mandarli tutti a casa”, restando, ovviamente lui e solo lui. L’immagine appropriata è quella usata da Grillo stesso: «la rivoluzione francese senza ghigliottina». Insomma, una dittatura, come quella che si realizzò, appunto, nella Francia rivoluzionaria ad opera di uomini decisi a rinnovare la società – come Robespierre, soprannominato “l’incorruttibile” – e convinti che discutere con gli altri, di diverso orientamento, fosse una inutile perdita di tempo e di credibilità. Resta la differenza: Robespierre, per evitare dolorosi compromessi, eliminava anche fisicamente i “corrotti”, Grillo vuole solo mandarli a casa (senza spiegare, però, cosa farà se loro non ci volessero restare e continuassero a disturbarlo).
Qualcuno obietterà sicuramente che la mia tesi è smentita clamorosamente dall’insistenza con il movimento 5 stelle insiste per attivare i lavori parlamentari. Già, i lavori parlamentari. Solo che il parlamento ha un senso se serve per parlare, per discutere, eventualmente per cambiare idea, convinti dalle argomentazioni altrui. Così lo intende la nostra Costituzione, escludendo il mandato imperativo, cioè un vincolo assoluto delle scelte dei rappresentanti eletti rispetto alla volontà dei loro elettori. Un deputato deve poter cambiare idea dopo la discussione (anche se purtroppo può succedere che la cambi anche prima, come è avvenuto, perché qualcuno lo paga). Grillo, invece, ha detto espressamente di auspicare il mandato imperativo. Imperativo, però, non da parte degli elettori, da parte sua. Lo vediamo tutti i giorni: lui, che tra l’altro non fa neppure parte del parlamento, decide cosa gli eletti nella sua lista dovranno dire, con pesanti minacce e insulti nei confronti dei “traditori”. Questa è la parodia di un gruppo parlamentare. E quello che Grillo vuole far funzionare, senza bisogno che ci sia un governo, è un parlamento in cui i suoi siano i fedeli portavoce del “capo” – il contrario esatto della sua funzione istituzionale. Ed è logico che lo voglia, perché, in mancanza di una maggioranza che si assuma la responsabilità di fare delle scelte organiche e coerenti, sarà più facile a un gruppo compatto ed eterodiretto farsi valere in vista dei propri obiettivi.
Quali siano poi questi obiettivi, è facile a dirsi se si resta al livello di slogan abbastanza ovvi, meno se si entra nel concreto. Per ora si sa solo che la prima proposta presentata in parlamento dai “grillini” è stata quella delle nozze gay. Era proprio l’idea nuova di cui si sentiva il maggiore bisogno in questo momento.
Un’ultima parola sullo stile. In questa triste Seconda Repubblica ci siamo a lungo – e giustamente – lamentati di una classe politica di basso profilo culturale che esibiva tutta l’arroganza del potere. Ora, grazie a personaggi come Roberta Lombardi, capogruppo e portavoce di 5 stelle, sappiamo che è possibile una classe politica di livello culturale ancora più basso (la ricostruzione delle origini del fascismo rivela scarsa dimestichezza anche solo con i manuali scolastici!) e arrogante anche prima di avere un qualsiasi potere, almeno istituzionale. Sì, non lo sapevamo, ma qualcosa di peggio poteva accaderci, ed è accaduto.
Giuseppe Savagnone
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