In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
La parabola che ascoltiamo in questa ventisettesima domenica del tempo ordinario ci colpisce per la sua durezza. Essa, a partire da un progetto di cura e di amore rappresentato dalla vigna, esita in inaudita violenza, omicidio e minaccia di sventura. Potremmo sentire molta distanza tra il racconto e le nostre vite: eppure questa parola è rivolta a ognuno di noi.
Il dono di Dio
Il punto di partenza, centro della riflessione, è un uomo che pianta e attrezza con cura una vigna, per poi affidarla a dei contadini. Questo uomo, che rappresenta Dio stesso, è colui da cui tutto ha inizio: il suo agire è creativo, generoso e orientato a portare la gioia dei frutti e del vino. Egli è Signore della vigna. Questo incipit potrebbe rimandarci al racconto della Genesi, in cui leggiamo che il fondamento del rapporto tra l’uomo e Dio è proprio il dono di Dio e l’intrinseca bontà di tale dono. Credere di esserci imbattuti nel mondo e nella vita “per caso”, significa misconoscere il principio stesso della nostra fede. Inoltre, per gli uditori del tempo di Gesù, il collegamento tra la vigna e il popolo di Israele era immediato.
“Se ne andò lontano”
È interessante notare che l’uomo, dopo aver dato in affitto la vigna, va lontano. Anche il nostro Dio, in un certo modo, dopo averci donato vita, relazioni e un luogo in cui vivere, “si allontana” da noi per lasciarci lo spazio di scoprire, conoscere, lavorare e amare. Come il padre raccontato la scorsa domenica, Dio non resta lì a “controllare” ogni passo dei figli, non li scorta a lavorare nella vigna ma semplicemente chiede loro di andarvi. Tuttavia, c’è un momento in cui Egli chiede i frutti della vigna.
Ritirare il raccolto
Rendere a Dio i frutti della vigna può significare tante cose nella vita dell’uomo: rispondere ai bisogni dei fratelli, condividendo i propri beni e il proprio tempo, rivolgere sguardi di amore e di vicinanza a chi vive ai margini della società, soccorrere chi soffre, accogliere una situazione difficile senza fuggire ecc..sono le tante occasioni della vita quotidiana in cui ci sono chiesti i frutti del Regno.
Violenza e rifiuto
La risposta che danno i vignaioli della parabola è all’insegna di rifiuto e violenza: essi vogliono spadroneggiare sulla vigna, trattarla come se fosse loro. Credono di non dovere nulla a quell’uomo, e per accaparrarsi i frutti non esitano a compiere più di un omicidio, anche quando lo stesso figlio del padrone visita la vigna. Colpisce molto l’ostinazione e la cecità di questa violenza, che fa addirittura credere loro di poter aver diritto alla vigna, venendo meno l’erede del padrone.
Nell’agire dei vignaioli riconosciamo la storia dell’umanità, le vicende che sono intorno a noi: laddove dovrebbero esserci amore e dono, ci sono desolazione e violenza. Crediamo che la vita ci appartenga, non ci sentiamo “in affitto”, non percepiamo di essere destinatari di un dono da custodire (il mondo, la nostre stessa vita, i fratelli). Nella parabola riconosciamo anche la storia dello stesso Gesù, figlio amato del Signore della vigna, che viene portato fuori da Gerusalemme e ucciso in croce.
Cosa dovrà fare il padrone a questi servi? I presenti, naturalmente, rispondono che scacci i contadini e consegni la vigna ad altri. Non comprendendo che, in questo giudizio severo, i destinatari sono loro stessi, come poi Gesù dirà esplicitamente.
La gioia di lavorare per Dio
La parola di oggi ci invita a riflettere sul rapporto talvolta ambivalente che abbiamo con Dio: ne accogliamo i doni ma presto crediamo che ci siano “dovuti” e smettiamo di lavorare con gioia per Lui. Così come gli operai chiamati a giornata, in un’altra parabola del Regno, non capiamo che lavorare sin dalla prima ora, e non solo alla fine della vita, è la pienezza della nostra vita, la nostra felicità, il nostro scopo. L’alternativa, come ci mostra il vangelo di oggi, sono solo egoismo e violenza. “Spadroneggiare” sulla vita è solo fonte di infelicità e divisione.
La pazienza di Dio
Il Signore desidera fortemente di restare in alleanza con l’uomo: per questo fa tanti tentativi, prima con i servi e poi con lo stesso figlio. Anche noi, che siamo presto pronti a “tagliare i ponti” di fronte alla prima delusione o al primo errore, possiamo imparare la pazienza evangelica, anche in questa pagina apparentemente così dura.
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