31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Il brano del vangelo di Marco di questa domenica racconta la guarigione di un sordomuto. Sono tante le occasioni, presentate dai Vangeli, in cui Gesù guarisce, sulle quali siamo chiamati a riflettere: ognuna ha le sue peculiarità, è volta ad illuminarci sul senso dell’azione divina. In questo caso il miracolo consiste in un orecchio chiuso che si apre all’ascolto della voce di Dio, una lingua legata che si scioglie per dire la Parola di salvezza.
L’udito e la parola sono due facoltà le quali, sia concretamente sia simbolicamente, fondano il rapporto interumano e il rapporto tra Dio e gli uomini, soprattutto per la sensibilità ebraica ( lo shema’ Israel, ascolta Israele, è la preghiera più’ sentita). La storia della salvezza, dalla creazione e in tutte le vicende dell’antico testamento, passa attraverso una voce che chiama ( “Dove sei?” ad Adamo in Gn 3,9, “Dov’è Abele tuo fratello?” in Gn 4,9, la chiamata di Abramo in Gn 12 e molti altri), un ascolto e una voce che risponde a questo appello. Ciò è molto evidente e suggestivo nel racconto della chiamata del profeta Samuele in cui si susseguono per tre volte “Samuele!” ed “Eccomi” (1Sam 3). La religione ebraico-cristiana è prima di tutto la religione della parola e dell’ ascolto, poi del Libro. Il sordomuto, che già per la società del tempo è un escluso, impossibilitato ad ogni interazione, acquista in quest’ottica un’ulteriore significato simbolico: è colui che è chiuso in sé stesso, a cui è precluso il rapporto di ascolto e risposta con Dio. Ogni uomo porta con sé una “sordità”, una refrattarietà alla parola che salva. Qui interviene il miracolo di Gesù, a rendere possibile tale rapporto con Dio. L’uomo a cui si aprono gli orecchi, che parla correttamente, è colui che, poi, proclama agli altri il suo incontro e diffonde l’annuncio.
Questo brano mette inoltre in evidenza in modo molto chiaro alcune caratteristiche del guarire operato da Gesù. In primis Gesù guarisce nel cammino, in piena zona pagana: ciò ci dice che non nella nostra perfezione ma nelle zone di infedeltà possiamo accostarci a Dio.
In secondo luogo osserviamo che, come in tanti altri casi, sono altri a condurre a Cristo i bisognosi di guarigione e a pregarlo: sono coloro i quali hanno già sperimentato che straordinario incontro sia quello con Gesù, gli apostoli. Ogni credente ha una grande responsabilità, quindi nei confronti dei fratelli.
Gesù guarisce “lontano dalla folla”, lontano dalla terra di schiavitù dell’uomo, lontano dagli occhi di chi cerca prodigi. Non vuole che tali prodigi siano raccontati. I segni che compie sono, infatti, i segni messianici di cui parla il profeta Isaia nella prima lettura ( Is 35,4-7) e che Gesù ribadisce ai discepoli di Giovanni il Battista ( Mt 11,4). Il Signore sa che la conseguenza diretta della diffusione dei suoi segni è che il popolo lo prenda per farlo re, come avviene nel sesto capitolo del vangelo di Giovanni. Là egli si ritira da solo a pregare, in attesa di mostrare la vera Regalità di Messia negli eventi della sua passione e morte a Gerusalemme.
Sovente nelle guarigioni Gesù opera toccando, stabilendo un contatto fisico con colui che guarisce, portando ad un vero incontro che coinvolge l’uomo tutto intero. Il Signore geme e dice “Apriti”,”Effatà”, per vincere la resistenza del nostro cuore chiuso dalla diffidenza, incapace di credere nella bontà degli altri e di Dio.
Il Vangelo di oggi ci porta ad una Parola nuova, anche se antica di duemila anni: un invito all’apertura, al desiderio di incontro e di relazione. Un invito anti-individualistico, che si oppone alla nostra moderna idolatria del bastarsi a sé stessi, dell’ auto-referenzialità, della massificazione che toglie all’uomo orecchie e bocca, che isola. È un invito all’ascolto della Parola di Dio, alla ricerca della sua voce negli eventi della nostra vita. Da questo ascolto potrà poi scaturire la Parola vera, la Parola piena e non le parole vuote, il parlare correttamente del sordomuto guarito.
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