F
are incontrare i ragazzi e le ragazze per introdurli alle problematiche sociali e accendere in loro il desiderio di mettersi in gioco con le proprie passioni per contribuire a migliorare la società. Un’idea che ha origini circa venti anni fa a Buenos Aires quando l’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio creò un Vicariato per l’educazione con lo scopo di promuovere un’azione pastorale che coinvolgesse tutti gli attori: genitori, insegnanti, giovani. Da lì si è sviluppata una rete mondiale estesa su 190 Paesi dei cinque continenti dove si è diffuso il progetto Scholas.CiudadanÍa, con la “pretesa” di costruire ponti di umanità, fare del mondo un’aula globale per ristabilire il patto educativo finalizzato a realizzare una società integrata e pacificata, nella convinzione, come ha ribadito più volte papa Francesco, che “non cambieremo il mondo, se non cambiamo l’educazione”. Da pontefice, il suo progetto si è ulteriormente consolidato sviluppando un nuovo paradigma educativo che nell’agosto del 2015 ha preso forma nella fondazione pontificia Scholas Occurrentes, “Le scuole si incontrano”: nel titolo il senso e l’obiettivo della fondazione.
Quel progetto dal 2016 è approdato nelle scuole italiane, grazie a un protocollo di intesa tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca che ha coinvolto anche Palermo dove, dal 5 al 9 febbraio, circa 200 alunni di undici istituti secondari superiori si sono incontrati con l’obiettivo, come prevede il protocollo, di far «scaturire un lavoro di ricerca e una riflessione sui problemi e i disagi connessi all’ambiente (scolastico, cittadino, familiare, sociale) in cui vivono e maggiormente li preoccupano, da trattare con modalità e format innovativi e originali».
Nelle aspettative degli insegnanti e dei dirigenti scolastici che hanno aderito al progetto, inizialmente si profilava un’immersione dei ragazzi in ambiti tematici impegnativi, guidati da un team qualificato di esperti. Niente di tutto questo. Ad attendere studentesse e studenti, un drappello senza comandante di giovani provenienti dall’Argentina, coadiuvati da altri giovani delle precedenti edizioni di Scholas svoltesi in vari Paesi. Tutti volontari. Nessuno con titoli specifici di pedagogista, psicologo o educatore, almeno non dichiarato. Semplicemente testimoni della pedagogia posta in atto da papa Francesco.
Come Pastorale scolastica della diocesi di Palermo, da tempo ci interroghiamo su quali strategie mettere in campo per comprendere i bisogni, i disagi, il mondo stesso dei giovani. Nella scuola italiana si discute su come innovare il “Patto di corresponsabilità educativa”, data l’urgenza di una più efficace alleanza tra genitori, scuola e studenti. La politica cerca rimedi alla deriva dei giovani, dopo essersi caricata nel tempo della grave responsabilità di avere tenuto le nuove generazioni ai margini, finendo per indurli a percepirsi più sudditi che cittadini. Nelle intenzioni ci salva poi l’Europa, dettando linee guida sulla necessità di fare dell’“educazione alla cittadinanza” il fine trasversale dell’istruzione e della formazione dei giovani.
Ed ecco che mentre i vari attori dell’offerta formativa si interrogano su come gestire la questione giovanile, il programma Scholas.Cittadinanza, coglie nel segno; in appena cinque giorni sprigiona consapevolezza, autostima, creatività e apre nuovi varchi ai giovani stimolando processi di inclusione e di partecipazione attiva. Un laboratorio di cittadinanza dove studentesse e studenti di undici scuole superiori di Palermo si sono interrogati a partire dai loro bisogni, dai loro desideri, dalle loro capacità. Ognuno di loro ha trovato spazi di libera espressione, ma soprattutto di riconoscimento. I loro limiti e i loro fallimenti, le loro debolezze e le loro paure, hanno incontrato l’incoraggiamento, l’attenzione, lo stimolo di altri giovani poco più grandi, venuti da lontano per offrire un’opportunità: ripensare se stessi come valore, come esseri unici.
Osservando per tutta la durata del progetto i miei alunni e tutti gli altri giovani partecipanti, ho cercato di capire quale alchimia fosse stata praticata perché in così breve tempo in quei volti di “sdraiati”, “svuotati”, “liquidi”, o comunque li abbiamo etichettati, si accendessero lampi di felicità. Sì, è proprio questa la parola da loro stessi più usata per esprimere l’esito dell’esperienza.
Per noi insegnanti accompagnatori è stata una lezione su cui riflettere. Spesso a inizio d’anno auguro ai miei alunni un anno felice, che porti loro occasioni di autorealizzazione, di crescita autentica, di conoscenza illuminante, di relazioni arricchenti. Cos’altro intendere per felicità? Durante il percorso scolastico non sempre l’esperienza va in questa direzione, talvolta accade piuttosto che i ragazzi si svuotino di entusiasmo, che non trovino il senso di quello che facciamo loro studiare. A volte ho la percezione che alcuni di loro vivano una forma di costrizione che li spegne lentamente. Noi insegnanti nella maggior parte dei casi ci prodighiamo in tutti i modi per offrire una scuola rispettosa dei loro bisogni, ma siamo lontani dal raccogliere esiti diffusi di felicità. Certo, lo studio è impegno e sacrificio, la scuola è struttura di regole e gerarchie. Non si può confondere la scuola con Scholas. Tuttavia da quest’ultima noi docenti di scuola superiore possiamo imparare a capire come rendere la vita a scuola un’esperienza vitale, capace di liberare energie umane, prima ancora di assecondare processi, misure, obiettivi di sistema, dimenticando che l’educazione è il movimento del “condurre fuori”, contrario a quello dell’osservanza conformatrice. È questo il senso dell’educazione alla cittadinanza che di per sé deve generare autonomia e garantire spazi di divergenza. La pedagogia di Scholas va in questa direzione, a partire da un’ estrema attenzione alla persona in crescita.
Non è questo lo spazio per approfondirne i presupposti teorici della pedagogia che supporta la fondazione pontificia, ma è facile scorgere lo stile di papa Francesco: massime di immediata efficacia che rivelano profondità essenziale e forza motivante. Poche frasi, proiettate in video, hanno accompagnato la presentazione del progetto rivelandone le ragioni fondanti: “Essere unico. Perché un’educazione che non genera senso genera violenza” “Dal dolore la creatività”. Riprendono le parole di papa Francesco nell’incontro del 2016 al Congresso mondiale di Scholas occurrentes, quando ha tracciato lo stile educativo per una scuola umanizzante, affermando, tra l’altro: «Che ogni persona venga riconosciuta nella sua identità. Ma l’identità non c’è se non c’è appartenenza. Cercate di dare appartenenza». E ancora: «Sforzarci di avere un linguaggio dei gesti. Fermare le aggressioni, il bullismo (per costruire un mondo nuovo, un mondo migliore, abbiamo bisogno di sradicare tutti i tipi di crudeltà) capacità di ascoltare, non discutere subito, domandare, e questo è il dialogo, e il dialogo è un ponte […] Il nostro mondo ha bisogno di abbassare il livello di aggressività. Ha bisogno di tenerezza, ha bisogno di mitezza, ha bisogno di ascolto, ha bisogno di camminare insieme».
E a proposito del patto educativo aveva affermato, in occasione del Congresso mondiale del 2015: «Scholas vuole in qualche modo reintegrare lo sforzo di tutti per l’educazione, vuole rifare armonicamente il patto educativo, perché solo così, se tutti noi responsabili dell’educazione dei nostri ragazzi e giovani ci armonizzeremo, l’educazione potrà cambiare. Per questo Scholas cerca la cultura, lo sport, la scienza; per questo Scholas cerca i ponti».
Semplicemente guidati dallo spirito della pedagogia bergogliana, i volontari di Scholas hanno suscitato nei nostri studenti l’interesse verso le problematiche sociali per loro più urgenti.
Le giornate si sono svolte a partire dal momento del “re-creo” durante il quale ogni partecipante è stato invitato a mostrare le proprie “passioni”. Ciò ha creato grande capacità di ri-conoscimento in un clima di incontro tra individualità via via sempre più in relazione coesa ed “intima”, altra parola inaspettata da parte dei giovani, riferita alla loro stessa interiorità e alla relazione tra tutti i partecipanti inizialmente avvertiti come estranei.
Nella seconda parte della mattinata, il momento di “riflessione interiore” durante il quale i ragazzi si sono confrontati sulle problematiche condivise. Distribuiti in gruppi, hanno approfondito due temi: “Mancanza di opportunità e disoccupazione giovanile” e “Pregiudizio”. Per approfondire la loro ricerca, hanno incontrato alcune figure di specialisti e condotto interviste.
Diagnosi dei problemi, iniziative da intraprendere in prima persona e proposte da rivolgere alle autorità rappresentative degli ambiti oggetto di riflessione, incontrate l’ultimo giorno: rappresentanti del MIUR, dell’USR, la signora Maria Falcone. A loro hanno esposto l’esito scritto delle due commissioni di ricerca. Queste in sintesi le tappe del percorso.
A conclusione erano tutti molto felici dell’esperienza. Carichi di nuova consapevolezza, non finivano di ringraziare i volontari di Scholas e noi insegnanti che li avevamo scelti per partecipare al progetto. Ragazze e ragazzi non avrebbero voluto lasciarsi. Hanno costituito un gruppo facebook, hanno progettato come proseguire la loro esperienza. Hanno promesso a se stessi e agli altri di non spegnere in loro la luce accesa dalla consapevolezza di essere individui unici capaci di esprimere ricchezza da condividere.
Palermo può contare su duecento giovani cittadine e cittadini carichi di autostima e di spirito creativo. Grazie a Scholas.Cittadinanza.
Lascia un commento