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Se Cartesio e Popper ci aiutano a riflettere sul Coronavirus.

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Scienza e dubbio

Fra gli effetti della pandemia da Covid-19 si può certamente segnalare la crescente importanza della medicina, e della scienza in generale, nel dibattito pubblico. Non ci si riferisce solamente ai dibattiti fra specialisti o alla fisiologica interlocuzione fra politica e comunità scientifica, ma al fatto che i semplici cittadini, a prescindere dalla loro effettiva competenza in materia, si sentano chiamati a esprimere le loro idee. Questo aumento di interesse per argomenti di solito trascurati dal grande pubblico è certamente qualcosa di positivo, ma l’acredine eccessiva che assume il dibattito può comportare il rischio di non permettere di ragionare serenamente su questioni che di loro sono complesse.

Senza aver la pretesa di rivelare verità fin adesso sconosciute, è tuttavia necessario provare a fare un po’ di chiarezza su alcune questioni che possono delineare il quadro generale del dibattito in maniera un tantino più nitida.

Procediamo con ordine. In relazione al dibattito attuale, la prima distinzione generale che è possibile fare è fra coloro che accettano le conclusioni che la comunità scientifica man mano presenta e coloro che le mettono in dubbio e a volte la rifiutano. Iniziamo da quest’ultimi, cioè da coloro che assumono un atteggiamento fortemente scettico nei confronti della «scienza ufficiale».

Dubitare di tutto ciò che non è evidente?

Il loro padre nobile all’interno della filosofia moderna può essere considerato Cartesio, che fece del dubbio la base del suo metodo e della sua speculazione filosofica. Cartesio visse in un momento storico in cui la scienza medievale stava lasciando spazio alla nascente scienza moderna.

Consapevole di vivere in una fase ricca di trasformazioni, Cartesio scelse di non dare per scontata nessuna idea, nessuna conoscenza. Decise di porre al vaglio del dubbio metodologico l’intero insieme di conoscenze che gli uomini dotti del suo tempo consideravano certezze. Benché autorevoli studiosi ritenessero certe alcune nozioni, Cartesio decise di rifiutare il principio d’autorità e di accettare come vere solamente quelle idee che risultassero evidenti di per sé stesse. Ora, rapportando quanto detto alla situazione attuale, ci dobbiamo porre una domanda: possiamo permetterci di dubitare di tutto ciò che non ci appare evidente? Possiamo permetterci di dubitare, ad esempio, che l’origine del SARS-CoV-2 non sia naturale? Certo, ci mancherebbe.

Ci sono però delle specificità socioculturali della nostra epoca, che impongono una nuova declinazione alla possibilità del dubbio e richiedono una maggiore consapevolezza nel modo di dubitare. Cerchiamo di capire perché. Una delle caratteristiche della nostra società è l’iper-specializzazione dei saperi. Semplificando possiamo dire così: l’umanità ha raggiunto un livello di sapere, così ampio e complesso, che è impossibile da padroneggiare nella sua totalità anche per la mente più brillante e poliedrica.

Iper-specializzazione del sapere, scienze e narrazioni

Qual è la conseguenza di quello che abbiamo detto, in relazione all’oggetto del nostro ragionamento? La conseguenza principale è che quando noi, non specialisti, parliamo di scienza non parliamo realmente di scienza, ma di una sua narrazione. Cerchiamo di chiarire il concetto. Una teoria scientifica serve in prima istanza a dare una spiegazione coerente e razionale di un fenomeno o di una serie di fenomeni apparentemente correlati fra di loro. Potenzialmente dall’aspetto teorico, conoscitivo, di ogni spiegazione scientifica possono derivare svariate applicazioni pratiche. Per adesso, però, concentriamoci sul lavoro esplicativo di una teoria scientifica.

Dicevamo che la persona comune non entra in contatto direttamente con la scienza, ma con la sua narrazione. È certamente legittimo che si possa mettere in dubbio qualsiasi narrazione. Ad esempio è legittimo che si metta in dubbio l’origine naturale del SARS-CoV-2. Il problema nasce quando, accanto alla narrazione ufficialmente presentata dalla comunità scientifica internazionale, vengono accostate una serie di narrazioni alternative egualmente plausibili agli occhi dell’uomo comune (il SARS-CoV-2 è frutto di bioingegneria ed è stato utilizzato come arma chimica). La domanda che ci dobbiamo porre è: perché dovremmo accettare la narrazione che ci propone la comunità scientifica e non quella che ci propone il soggetto X? Fidarsi di ciò che ci dice la comunità scientifica significa semplicemente obbedire al tanto vituperato principio d’autorità? A parte il fatto che noi agiamo quotidianamente secondo il principio d’autorità, perché cerchiamo un meccanico esperto che aggiusti la nostra auto o un medico specialista che ci curi, c’è un ulteriore motivo per cui la narrazione che ci propone la comunità scientifica è preferibile rispetto alle altre. Quale? La risposta ce la fornisce un altro filosofo, Karl Popper.

Spiegazioni scientifiche e falsificabilità

Anche Popper ha vissuto un’epoca di grandi cambiamenti scientifici (si è formato grossomodo negli stessi della scoperta della relatività di Einstein) e ha condotto importanti studi sui criteri che distinguono una teoria veramente scientifica da quelle che lo sembrano soltanto. Popper ha trovato questa differenza in quello che comunemente viene chiamato principio di falsificabilità.

Senza entrare in tecnicismi, cerchiamo di capire in cosa consiste. Ci può essere utile tornare al nostro esempio del SARS-CoV-2, il virus responsabile della Covid-19. Immaginiamo che ci siano due persone, uno, Albert che rappresenta la comunità scientifica e uno, Donald, che rappresenta chi sostiene con forza l’origine artificiale del virus. Quando si parla di scienza, tutti noi siamo portati a pensare all’importanza delle prove (o presunte tali). Albert potrebbe dire che il SARS-CoV-2 è presente in parecchi animali, alcuni dei quali vengono venduti nei mercati alimentari cinesi, ed è probabile che ci sia stato un salto di specie e che il virus sia giunto all’uomo. Donald potrebbe obiettare: A Wuhan esiste un laboratorio in cui fanno studi sul SARS-CoV-2, il virus sarà uscito fuori da quel laboratorio. Agli occhi di chi non è uno specialista le spiegazioni potrebbero sembrare entrambe plausibili.

Cosa ha la spiegazione di Albert (scientifica) in più rispetto all’altra? Albert è nelle condizioni di formulare una condizione che qualora si verifichi smentisca la sua ipotesi. Potrebbe cioè dire «il SARS-CoV-2 è di origine naturale a meno che non si dimostri che il suo DNA abbia determinate caratteristiche». È questo il cosiddetto principio di falsificabilità che afferma dunque che una teoria, per essere verificabile, cioè scientifica, deve essere confutabile. Dalle sue premesse basilari si devono poter dedurre le condizioni di almeno un esperimento che, nel caso la teoria sia errata, ne possa dimostrare integralmente l’errore alla prova dei fatti.

Donald non può invece usare il principio di falsificabilità, perché qualora verrà dimostrata l’infondatezza della sua teoria, troverà sempre un’ulteriore narrazione che lo soccorrerà consentendogli di negare la realtà scientifica. Riportiamo tutto al nostro caso: uno studio su Nature dimostra l’altissima probabilità dell’origine naturale del virus? Donald potrà sempre obiettare che Nature sia stata corrotta da quei cattivoni del Deep State per le loro oscure macchinazioni. Quello di chi abbraccia narrazioni alternative, rispetto a quelle accettate dalla comunità scientifica, è un circolo vizioso dal quale non potrà mai uscire, perché troverà sempre una meta-narrazione che legittimerà la narrazione precedente. Allo stesso tempo abbiamo visto con Popper come la scienza non sia statica e anzi, qualora venga smentita una teoria che la comunità scientifica reputava affidabile, questo non infici la dignità del metodo scientifico, ma anzi ne sottolinei il suo carattere dinamico, progressista e sempre aperto al miglioramento.

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