1 Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2 Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: «Vado a prepararvi un posto»? 3 Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4 E del luogo dove io vado, conoscete la via». 5 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6 Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 8 Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9 Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11 Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. 12 In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.
Questa è la domanda centrale che i discepoli rivolgono a Gesù in questo primo discorso di addio. Gesù ha appena annunciato la sua partenza (Gv 13,33-34) e ha consegnato ai discepoli il comando dell’amore («che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato») come il lascito più importante del suo insegnamento. Non un cumulo teorico di leggi astratte, ma semplice prassi di vita da incarnare e testimoniare.
Ecco allora che l’idea di perdere improvvisamente una persona cara, ancor più quando essa è stata guida e maestro di vita, getta tutti nel turbamento. Come fare d’ora in poi senza Gesù accanto? Chi può dare parole di vita eterna? Chiedere dove va, in quale luogo si reca, rappresenta allora per i discepoli un tentativo di razionalizzare l’assenza, di dare nome alla sedia vuota a tavola, di opporre una resistenza materiale al timore del nulla, del ‘mai più’, dell’addio.
La prima preoccupazione di Gesù è quella di tranquillizzare i discepoli turbati esortandoli ad avere fede in lui, a rimuovere ogni sentimento di tristezza e angoscia (cf. Gv 14,1). La paura e l’ansia per il futuro, lo sconforto della separazione, possono trovare forza e consolazione innanzitutto in un abbandono fiducioso in Dio. Gesù chiede perciò ai discepoli di rinnovare la loro adesione di fede nell’azione di Dio, perché è soltanto in questo modo, pur doloroso, che si realizza l’azione salvifica di Cristo.
La fede consente di dissipare l’ansia e di superare il dolore. La fede è in grado di slanciare in avanti lo sguardo fino alla ‘casa del Padre’, meta di Gesù ma anche nostra, casa dell’umanità redenta dove ciascuno di noi è atteso ad occupare un posto che ci viene con cura preparato. Il richiamo alla fede è costante in tutto il brano e ritorna più volte nelle parole di Gesù che, avvertendo l’angoscia dei suoi, li esorta a credere nel Padre e in Lui stesso compiendo, sempre nella fede, un passo ulteriore nella comprensione della figura stessa di Gesù: «Chi ha visto me, ha visto il Padre».
L’occasione per questo salto nella fede è offerto da Tommaso, il discepolo che ha bisogno di ‘vedere per credere’, figura del credente che da sempre cerca i segni tangibili di Dio in un’esperienza sensibile e che, di contro, non accetta l’assenza di Dio, la sua non visibilità, dunque la nuova dimensione che Gesù intende inaugurare, non più legata alla sua persona fisica né ad un luogo particolare, bensì vissuta all’interno delle singole esistenze.
Come si può andare al Padre se non si conosce la strada? Tommaso è concreto. Gesù lo accompagna in questo percorso di comprensione, spostando l’attenzione dal tema fisico del luogo a quello di “via”. Non c’è alcuna via al Padre che non passi attraverso Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita”. Gesù è l’unica strada per andare a Dio ed è lui stesso, con il suo volto, ad aver mostrato Dio, ad averlo rivelato (verità, in greco alethèia = ciò che non è nascosto) e a comunicare così ai discepoli la vita del Padre.
Il conforto, allora, arriva presto: Gesù non va via per sempre, ma per un tempo definito al termine del quale tornerà e ‘prenderà tutti con sé’. In questo lasso di tempo dalla durata imprecisata l’assenza non è il vuoto di chi è scomparso, ma la forma diversa in cui vivere adesso la relazione con Dio, in comunione con Gesù e gli altri compagni di vita e di strada. Un cammino fatto di parole e opere, anche ‘più grandi’ di quelle compiute da Gesù stesso, che trova nell’amore reciproco il segno distintivo di Cristo, il mezzo che lo rende effettivamente presente nella comunione fraterna.
Il tempo dell’assenza sarà inevitabilmente segnato dall’angoscia e dallo smarrimento. Il cristiano potrà vivere anche una profonda crisi. Proprio per questo oggi la Parola ci esorta a credere nel futuro, a fidarsi del Dio che non ci ha abbandonato ma che continua a starci accanto ma senza il fiato sul collo. Il Dio che tornerà a prenderci per mano per guidarci alla fine della storia, per prendere posto nella sua casa.
Il Dio che ha tutta l’aria intima e ospitale del padre buono che ha preparato le camere per accogliere i figli, prodighi e no, per una festa senza fine.
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