Squarci letterari: Dante, Inferno, canto V, 115-142

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1835 Ary Scheffer The Ghosts of Paolo and Francesca Appear to Dante and Virgil

 

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,

e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri

a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,

a che e come concedette Amore

che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore

che ricordarsi del tempo felice

ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice

del nostro amor tu hai cotanto affetto

dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser basciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l’uno spirto questo disse,

l’altro piangea; sì che di pietade

io venni men così com’io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

Nel V canto dell’Inferno Dante e Virgilio incontrano i lussuriosi, coloro che hanno peccato, oggi si direbbe, di “erotismo illegittimo”. Occupa la scena il desiderio. Desiderio dell’altro, desiderio fisico dell’altro. I dannati sono sottoposti ad una bufera implacabile, contrappasso, per analogia, della loro condizione tempestosa sulla terra (anche oggi, per gli adolescenti, si parla di “tempesta ormonale”….). Questa è la parte conclusiva del canto. Dante e Virgilio hanno visto molte altre anime, più famose, ma Dante conosceva la storia di Paolo Malatesti e Francesca da Rimini e su questa vuole tornare. Come si suol dire, preferisce la cronaca alla storia.

La parafrasi del testo è didatticamente doverosa, e qui si tralascia per evidenti motivi di spazio. Ma una volta compreso il significato letterale del testo, occorre condurre i nostri sedicenni nell’immaginario dantesco, rivelato come sempre dalla forza evocativa del linguaggio.Francesca ha già rievocato il suo amore per Paolo, dall’esito tragico. I due sono stati uccisi perché scoperti in flagrante adulterio da Gianciotto, marito di Francesca e fratello di Paolo. Vicenda ben nota a Dante, che però pone il suo focus sull’aspetto più delicato e intrigante di questa vicenda e di tutte le vicende amorose: come avviene l’innamoramento? Già: come avveniva e come avviene ancor oggi?

Quattro termini rivelano la prospettiva di Dante personaggio (e quella di Dante autore, che opportunamente non va fatto coincidere col personaggio, ma neppure del tutto scisso). Francesca ha vissuto “martìri”, con indubbia valenza religiosa, e poi la sua vicenda è incorniciata da “dolci sospiri”, “Amore” e “disiri”, tutto l’armamentario dell’eros sublimato stilnovistico. Che Dante aveva vissuto pienamente.

In sei terzine Francesca rivela quanto nessuna cronaca avrebbe potuto mai rivelare perché nessuno era presente prima della fine. Nell’economia narrativa del testo potrebbe trattarsi di un particolare inutile. I due sono condannati per l’eternità. Il peccato di lussuria non avrà certamente sconti (tipo Purgatorio) per il “modo” in cui è stato consumato. Sul piano morale e religioso la condanna è inevitabile. Ma ai ragazzi va fatto notare che proprio l’ “inutilità” di questa sezione finisce per rivelarne la sua crucialità sul piano esistenziale. Come dire che, se fosse passata per la mente di qualcuno l’idea che il giudizio morale si configura come giudizio disumano, vuol dire che dell’umano si è capito ben poco.

Dante invece è maestro di umanità. Il tempo dei due amanti era “felice”, e quel che passava tra i due era “amor”. I due leggono il romanzo di Lancillotto e Ginevra, e per loro, come per i ragazzi che abbiamo in classe, la letteratura fa da specchio della vita. Quel bacio letto sulle pagine del libro esce dal libro e si fa vita reale. Ma prima c’erano stati gli sguardi, più sguardi, e pallore nel viso. Siamo lontanissimi da qualsiasi forma di consumismo erotico. Ne è conferma il modo del bacio di Paolo: “la bocca mi basciò tutto tremante”. Tremare mentre si dà un bacio.
I due piangono. Francesca “piange e dice”. Paolo non dice ma piange. Piangono per la condanna. Piangono per il modo violento della morte. Ma forse piangono anche perché la purezza di quell’amore non ha trovato riconoscimento nel giudizio di Dio. O almeno del Dio medievale. Il loro amore era irregolare e nessuno sconto poteva esserci alla loro pena. Ma allora perché Dante, l’autore Dante, ha voluto presentarci questa vicenda in termini così delicati?

In classe va posta una domanda del genere. Va posta insieme a questo passaggio: “di pietade io venni men così com’io morisse”. Che vuol dire venir meno di pietade? Come un morire? Morire a che cosa? Cos’è questa pietade che Alighieri vuole comunicare al lettore? É compassione, proprio nel senso di “patire insieme?” E perché soffrire con chi ha sbagliato? Si può sbagliare mantenendo nobiltà d’animo? Questi sono gli interrogativi cruciali che strutturano la vita dei nostri ragazzi. Su questi temi si può far discutere, approfondire, ampliare, attualizzare, si può fare tutto quello che la didattica suggerisce per favorire un apprendimento significativo. Che è tale perché interroga la vita. Chi è questo Amore che dà piacere e dolore nello stesso tempo? Cos’è questa forza che scombussola gli schemi istituzionali e sfida i dettami morali e religiosi?

Dante è invaso dalla pietade, fino a morirne. Fino a perdere i sensi: “caddi come corpo morto cade”. La chiusa del canto segnala l’eccedenza della vita pulsionale, e del sentimento che la rielabora, sulle strutture (e sovrastrutture) razionali che cercano di imbrigliare il celebre “che sarà che sarà” che una canzone brasiliana – magari da fare ascoltare nella versione di Fossati e Mannoia – ha immortalato:

quel che non ha ragione

né mai ce l’avrà

quel che non ha rimedio

né mai ce l’avrà

quel che non ha misura

[…]

quel che non ha decenza

né mai ce l’avrà

quel che non ha censura

né mai ce l’avrà

quel che non ha ragione

[…]

quel che non ha governo

né mai ce l’avrà

quel che non ha vergogna

né mai ce l’avrà

quel che non ha giudizio”.


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