Squarci Letterari – Ludovico Ariosto e la demitizzazione delle ideologie: Orlando Furioso I, 1-4

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Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto
d’uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.

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L’Orlando Furioso è un capolavoro della letteratura italiana. Quel che qui propongo ovviamente è un invito ad una lettura molto più diffusa rispetto alle prime due ottave del Carme. Ma le due ottave iniziali dicono subito con chi abbiamo a che fare e, in qualche modo, fanno a vedere che aria tira in classe davanti a quest’opera immortale.

Se c’è una parola che può riassumere la prospettiva formativa assumibile in classi di sedicenni che si cimentano con l’epica ariostesca, è demitizzazione. Ariosto sparge il suo sorriso ironico e disincantato su tutti i miti della vita umana. E non lo fa perché sia uomo privo di valori. Ma perché i suoi valori non hanno alcuna pretesa metafisica o dogmatica e non hanno alcuna pretesa di trascendere le dinamiche umane, che il poema sonda in tutte le loro sfaccettature. L’amore, la gelosia, l’invidia, la competizione, la generosità, tutti i registri umani sono passati in rassegna da una prospettiva connotata da saggezza ed equilibrio.

Nelle due ottave che qui si presentano questa modalità ariostesca comincia a fare capolino. L’autore presenta l’argomento della sua opera: c’è la guerra e c’è l’amore, tutto insieme, “mixato”, donne cavalieri armi amori cortesie audaci imprese: in due versi non solo guerra, non solo scontro, non solo violenza, non solo l’umano muscolare, ma anche ciò che è non meno umano e che non è escluso dalla guerra. É la guerra tra i Mori d’Africa e i Cristiani di Francia, la cui lettura oggi per i ragazzi assume risonanze di attualità permettendo incursioni su presunti “scontri di civiltà”.

Uno scontro di civiltà, infatti, potrebbe essere individuato tra gli eserciti di Agramante e di Carlo, se non fosse che il primo è pennellato come condottiero in preda di ire e furori giovanili, ansioso di vendette, come se l’ideologia calasse le proprie brache di fronte alla banale passionalità dell’umano. Tutto ciò che saprebbe di ideologia o di eroismo viene ricondotto entro i binari della scompostezza umana.

E la seconda ottava non è da meno. Orlando è il principe dei guerrieri e degli eroi dell’epica carolingia qui rivisitata in chiave rinascimentale. É il coraggioso, l’invincibile, ma qui di lui si dirà cosa non detta mai. Cosa si può dire di un uomo forte che non sia mai stato detto? Che egli divenne matto per amore. Venne in furore. Come Agramante nella prima ottava. Il furore è quel che succede all’umano quando perde la propria umanità: Orlando furioso. Il furore è l’anti-ragione, è ciò che fa oltrepassare le barriere del controllo razionale sotto la spinta di forze superiori che schiavizzano. Cosa può rendere furiosi nel nostro tempo?

Prima era stimato saggio. Parliamone. Cambiare completamente la propria reputazione, rovesciare i propri destini, così, di netto, per amor. Possibile che la forza del sentimento, la passione per un altro essere umano possa cambiare così radicalmente i connotati di una persona? Innamorarsi significa questo ancor oggi? Diventare altra cosa, perdere tutto ciò che si era guadagnato in reputazione, magari allontanare amicizie e rapporti sociali, magari ancora non riuscire più ad onorare i propri doveri. Ma come si combatte un forza così travolgente? E che speranze abbiamo noi poveri umani ordinari se neppure il principe dei forti riesce ad impedire la propria mutazione da saggio in matto?

Ma il colpo di coda è nella seconda parte della seconda ottava. Io canto, io dirò. Ma ci riuscirò? Nell’epica antica si chiedeva alle muse l’ispirazione. Anche il cristiano Dante lo fa. La forza di scrivere, di portare avanti un progetto, un’impresa. C’è dell’eroismo anche nell’intraprendere un’impresa intellettuale come quella cui si accinge il nostro Ludovico. Ci si attenderebbe un’invocazione all’altezza dell’epica, rivolta a una dea o a una semidea. Ma la demitizzazione è implacabile: riuscirò a portare a compimento l’impresa se me lo permetterà colei che sta erodendo a poco a poco il mio ingegno. Che mi sta prosciugando le forze. Proprio come Orlando. Chi è colei che tal quasi m’ha fatto? Chi è colei che mi sta riducendo come il mio eroe? É la donna amata perdutamente dal poeta, quell’Alessandra Benucci che solo in tarda età, dopo averla amata per tutta la vita (la Benucci era sposata), egli, quando rimase vedova, sposerà.

É stato scritto che la Benucci è musa ed antimusa. Verissimo. Solo uno spirito demitizzatore poteva creare un’antimusa, cioè una figura che, anziché aiutare, ispirare, sostenere, fa un’azione di “limatura”, splendida metafora che evoca la vera e propria erosione dell’intelligenza (oggi parleremmo di capacità di concentrazione) prodotta dalla passione amorosa.

Insomma. L’Orlando Furioso è il capolavoro dell’ironia, del sorriso sapiente, della demitizzazione, della presa di distanza da ogni ideologia aggressiva, da ogni identità arrogante, da ogni muscolarità che eleva l’umano al di sopra della propria dimensione. Non è un illuminista scettico o nichilista quel che presentiamo ai nostri ragazzi, ma un sapiente osservatore delle miserie e delle fragilità umane ed un altrettanto sapiente ridicolizzatore di tutte le pretese che ci fanno pensare di essere i padroni del mondo e i detentori del Giusto e del Vero. Caricature di noi stessi. Roba utile di questi tempi.

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