E’ non mi è incognito come molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo, potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi, per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dí, fuora d’ogni umana coniettura. A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Non di manco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi. Et assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell’altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E, benché sieno cosí fatti, non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l’impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso. (Continua a leggere)
Molte volte i ragazzi attribuiscono alla sfortuna – o “sfiga” – i loro insuccessi. Oppure al destino. Persino i risultati scolastici soggiacciono a valutazioni riconducibili a quest’area di discorso, che riguarda tutto quanto sfugge al controllo e alle risorse umane. Il rapporto tra bravura e fortuna (concetto, quest’ultimo, espresso più frequentemente in forme colorite) è spesso al centro dei loro discorsi, e capita in classe di dover soffermarsi sulle percentuali da assegnare all’una e all’altra.
L’adolescenza è un’età in cui la fiducia in se stessi assume un’importanza capitale. Crescere significa emanciparsi progressivamente dalla dipendenza dai genitori e sapersi assumere le proprie responsabilità. Si impara a progettare, ad adottare strategie, a fronteggiare gli imprevisti. Tutto questo l’attuale didattica definisce “competenze”. Ma i ragazzi molte volte si sentono impotenti di fronte a forze che li sovrastano e maturano una sfiducia radicale nelle loro possibilità di modificare il corso degli eventi.
Questo humus esistenziale può essere intercettato fruttuosamente dal ragionamento di Niccolò Machiavelli attorno al rapporto tra virtù e fortuna, condotto nel venticinquesimo capitolo della sua opera maggiore, “Il Principe”.
Il testo si muove attivando tre livelli di lettura. Il primo sta su un piano generale, e pone il rapporto tra virtù e fortuna nelle vicende umane. Il secondo produce un’applicazione al livello della politica e del potere. Il terzo introduce il concetto di “qualità de’ tempi” che in qualche modo complessifica il quadro del rapporto tra virtù e fortuna.
Al primo livello, Machiavelli descrive l’atteggiamento fatalistico di molti. Le cose del mondo non sono in potere degli uomini, e non vale la pena “insudare” per cambiare il corso degli eventi, soprattutto quando questi eventi cambiano in modo assolutamente imprevedibile. Il testo è del ‘500, ma è difficile resistere ai parallelismi istituibili con la turbolenza dei tempi attuali. Che ultimamente hanno anche assunto caratteri catastrofici.
Ed è notevole che lo scrittore fiorentino abbia paragonato la fortuna, o sorte che dir si voglia, ad un fiume in piena che travolge tutto perché privo di argini. Viviamo tempi di valanghe e di terremoti ed una lettura del genere finisce per risultare inquietante, soprattutto se si considera che la visione di Machiavelli attribuisce precise responsabilità all’uomo: non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l’impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso. Se gli uomini adottassero la giusta prevenzione, il potere distruttivo della fortuna sarebbe senza dubbio ridimensionato.
Che vuol dire “pensarci prima”? In un tempo in cui si vive alla giornata, ha senso indicare un sapiente “pensarci prima”?
Il secondo livello di lettura affronta la questione politica, ma in fondo lo schema di pensiero adottato dall’autore può essere interessante a prescindere dal discorso politico perché permette di riflettere e far riflettere sulla nostra capacità di mutare atteggiamento caratteriale in funzione dei tempi che si vivono. Come dire: quanto siamo idealisti davanti alle vicende della vita? Sappiamo capire quando il mutare dei contesti e delle condizioni di vita richiede alla nostra natura di saper adattarsi? Machiavelli si mostra scettico su questa possibilità: Né si truova uomo sí prudente che si sappi accomodare a questo; sí perché non si può deviare da quello a che la natura l’inclina; sí etiam perché, avendo sempre uno prosperato camminando per una via, non si può persuadere partirsi da quella. Ma chi ha detto che anche questo scetticismo non possa essere oggetto di discussione con i ragazzi, per esempio sul rapporto tra inclinazioni naturali e volontà? Si può mutare natura a fronte di determinate esperienze di vita, quelle che Machiavelli definisce “qualità de’ tempi”?
Il finale del testo è un vero e proprio colpo di coda, proprio per il riferimento esplicito ai giovani che si presterebbe ad una bella discussione. É meglio essere impetuoso che rispettivo (riflessivo). Sembrerebbe che il nostro autore immagini adesso che se proprio uno deve scegliere un modo di essere capace di “pararsi” dai contraccolpi della fortuna è meglio che adotti il modo dei giovani: E però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perché sono meno respettivi, più feroci e con più audacia la comandano. Notevole. La fortuna è come la donna e quindi occorre “batterla et urtarla”. E i giovani sono più adatti a fronteggiarla per la loro ferocia e audacia. La letteratura a volte sorprende. I ragazzi immaginano autori irreprensibili, medaglioni da imitare, e invece spuntano passaggi davanti ai quali le studentesse non esiterebbero a insorgere urlando, come oggi usa, “prof non si può sentire!”
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