Il divario tra Nord e Sud
L’ultimo rapporto della SVIMEZ certifica la distanza – in termini di sviluppo economico e sociale – tra il Nord e il Sud Italia. Tale situazione, presente sin dall’unificazione del nostro Paese, rischia di condannare l’intero meridione ad un sottosviluppo tanto stabile quanto certificato. Discutiamo di questo tema con il Presidente delle ACLI siciliane, Stefano Parisi.
Di recente, le ACLI siciliane hanno promosso a Catania un incontro di approfondimento sulla frattura economica e sociale presente fra il Nord e il Sud d’Italia. Quali motivazioni vi hanno portato a riflettere su questo tema?
Il recente rapporto della SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno presenta il nostro Paese come oppresso dalla zavorra della disparità tra un Nord legato alla locomotiva europea e un Sud radicalmente sottosviluppato. La SVIMEZ registra che nel Sud d’Italia si addensano tutte le più alte percentuali in merito al sottosviluppo economico, infrastrutturale, amministrativo, culturale, ambientale, sociale. Negli ultimi anni, specialmente al meridione, la forbice fra il ceto benestante e le famiglie meno abbienti si è ingrandita.
Da tutto ciò, deduciamo che la crisi che colpisce il nostro Paese ha vari volti. Dallo scarso sviluppo economico alla denatalità, dalla presenza della criminalità organizzata allo sfilacciamento della coesione sociale, l’Italia è una comunità che attraversa un periodo storico di grande difficoltà che interessa vari fronti. Questa situazione chiama in causa la classe dirigente sociale e politica dell’intero meridione d’Italia affinché possa da un lato assumersi le gravose responsabilità legate al passato e dall’altro sia capace di rinnovarsi per guidare il rilancio del Sud.
In questa situazione, quale ruolo è chiamata ad interpretare la politica locale e nazionale?
La politica italiana deve riuscire ad andare al di là delle semplificazioni tipiche di una perenne campagna elettorale che penalizza l’intero Paese. Il sistema politico è chiamato da un lato a prendere consapevolezza di questa situazione e dall’altro a elaborare un piano pluriennale di sviluppo per le zone meno ricche del Paese. Piano progettuale che deve permettere al Mezzogiorno di superare quella condizione di subalternità, rispetto al resto d’Italia, presente per via di un debole tessuto imprenditoriale, della scarsa qualità dei servizi resi dalle amministrazioni locali, del radicamento delle mafie, dell’emigrazione annuale di migliaia di giovani verso il Nord e il resto d’Europa, dell’altissimo tasso di disoccupazione non soltanto giovanile.
A vostro parere, quali sono le priorità da individuare per lo sviluppo del meridione?
Come ACLI siciliane sentiamo il dovere di riflettere a partire dall’attuale situazione economico, sociale e politica del Sud la quale rischia di allontanare sempre di più una parte assai importante del nostro Paese dal resto dell’Europa. Le ACLI isolane, alla luce di una conoscenza diretta del territorio, sanno bene che la battaglia per lo sviluppo del meridione può essere vinta attraverso un grande investimento progettuale, economico e politico capace di garantire più istituti scolastici, una sanità decente, un welfare inclusivo, la cooperazione fra le parti sociali, un serio investimento per infrastrutture all’avanguardia. Simile piano di recupero e di rilancio potrà concretizzarsi solo con la disponibilità di fondi ordinari dello Stato italiano ai quali aggiungere quelli destinati dall’Unione Europa alle aree sottoutilizzate.
In una nuova politica per il Sud del nostro Paese, le autonomie locali sono chiamate a interpretare un ruolo decisivo per la crescita del Mezzogiorno. Questi enti rappresentano la prima istituzione che i cittadini, gli imprenditori, i turisti e i migranti incontrano nei territori. A partire dalle autonomie locali – da difendere dinanzi a progetti di regionalismo differenziato capaci soltanto di aumentare le disomogeneità su questioni fondamentali come la sanità, il welfare, i presidi scolastici e delle forze dell’ordine – possono avviarsi progetti sinergici tra pubblico, privato e terzo settore al fine di sostenere tanto le fragilità quanto la cooperazione per la crescita sociale, economica, culturale.
Oltre alla progettualità a medio e lungo periodo, bisogna affrontare le difficoltà sociali connesse alla crescita della povertà relativa e assoluta fra i siciliani. È così?
Proprio nel mese di giugno, abbiamo concluso in diverse province siciliane il progetto annuale – cofinanziato tramite i fondi raccolti con il 5X1000 – denominato “Il pane agli ultimi”. L’iniziativa ha visto la collaborazione fra ACLI, Croce Rossa Italiana, parrocchie, amministrazioni comunali per distribuire alle famiglie povere generi alimentari. L’esperienza realizzata con il progetto “Il pane agli ultimi” permette alle ACLI siciliane di affermare che una nuova politica per il Mezzogiorno è chiamata a due compiti: nell’immediato ad arginare il fenomeno della povertà assoluta; in prospettiva a realizzare, a partire dai territori, piani strategici che coinvolgano in rete istituzioni, associazioni, imprese e cittadini.
Tanto nella gestione delle difficoltà presenti quanto nella progettazione del futuro è importante, a suo parere, rafforzare il processo di unificazione europea?
Il nostro continente è chiamato, anzitutto, a rafforzare al proprio interno quei ponti culturali in grado tanto di sviluppare l’identità continentale quanto di poter veicolare il nostro modello di crescita sostenibile al resto del pianeta. Tale impegno si connette alle misure di contrasto verso la disoccupazione specialmente giovanile. In Europa, infatti, sono più di 5 milioni i giovani che non studiano e non lavorano.
Siamo convinti che solo politiche comunitarie potranno affrontare l’attuale crisi economica generata da questioni globali. Infine, l’inclusione sociale connessa ai fenomeni della povertà e della mobilità umana. Da questo punto di vista, l’Europa deve divenire sempre più un’unione sociale capace di garantire i diritti di ogni uomo, donna e bambino al fine di un’integrazione nel pieno rispetto delle diversità.
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