di Giuseppe Bagni
Sulla scuola non si può più sbagliare. Questo è il messaggio che vorremmo fosse ben chiaro non solo al nuovo governo, ma a tutto il nuovo Parlamento. Non c’è rilancio possibile per il Paese senza una vera politica per la formazione. Il che impone un’inversione di rotta che rappresenti una netta discontinuità con la politica dei tagli che ha colpito la scuola negli ultimi decenni. Tornare a investire sulla conoscenza è il prerequisito indispensabile per garantire a tutti pari opportunità d’apprendimento e d’inserimento nella società come cittadini attivi.
Per non sbagliare, occorre avere un progetto forte e credibile sulla scuola e riconoscere che il motore principale del cambiamento è negli insegnanti. Bisogna ripartire da loro, prepararli adeguatamente e in modo continuo, e rimotivarli riconoscendo la centralità del loro ruolo in una società complessa come quella attuale.
La credibilità del progetto dipenderà molto dalla chiarezza delle scelte che si faranno su alcuni temi centrali.
L’autonomia
La scuola ha già l’unica riforma veramente indispensabile. Si tratta della riforma dell’Autonomia, a cui bisogna dare finalmente piena attuazione, assicurando quelle risorse umane e finanziarie che permettano di declinarla con responsabilità.
È indispensabile rendere operativo l’art. 6 del Regolamento dell’Autonomia, sulla ricerca, sperimentazione e sviluppo, che garantisce alla scuola l’esercizio del diritto alla ricerca e alla sperimentazione didattica; esercizio fondamentale per chi si occupa di istruzione e di educazione secondo il dettato costituzionale (art. 3 della Costituzione). Con quest’articolo si delinea di fatto un tipo di scuola capace di rispondere positivamente alla pluralità dei bisogni formativi degli alunni e ai cambiamenti in atto.
Questo comporta la messa a punto di interventi concreti diretti prioritariamente a dotare ogni scuola di un organico funzionale, valido strumento per lo sviluppo delle potenzialità di organizzazione, ricerca e sperimentazione didattiche della scuola autonoma.
Mettere al centro l’autonomia scolastica, in primis quella didattica, consente di pensare a una possibile diversificazione delle figure docenti legata al diverso grado di partecipazione alle attività di ricerca e di sperimentazione, di responsabilità, di autonomia e di impegno nella gestione organizzativa della scuola.
Una scuola autonoma è una scuola che riflette, ricerca, sperimenta e che reputa comunque vitale il rapporto con il territorio, ricercando il dialogo con i vari soggetti, istituzionali e non.
Per cui diventa necessario l’obiettivo di stipulare un patto territoriale che ponga ciascuna Istituzione scolastica a garanzia e fondamento di ogni vivere sociale, a partire dal contesto reale della vita di ciascuno. Fare delle scuole luoghi aperti di cultura perché siano un vero patrimonio collettivo.
Ma affinché un simile obiettivo possa realizzarsi servono interventi incisivi volti a rendere le scuole realmente autonome all’interno del sistema scolastico; bisogna ridefinire gli organi di democrazia interna della scuola in modo che essa possa essere un vero centro civico, capace di utilizzare tutte le risorse territoriali utili per la formazione.
Contestualmente tutte le Regioni si devono dotare di norme attuative del nuovo titolo V che ha costituzionalizzato l’autonomia scolastica; occorre che la scuola non sia più vista dalla politica come un costo, ma come un investimento per lo sviluppo ed il futuro del paese. È quindi necessaria una inversione di tendenza rispetto ai tagli di spesa di cui è stata destinataria nell’ultimo decennio.
La valutazione
Riteniamo inoltre che in un quadro diffuso di scuole autonome sia necessario un sistema nazionale di valutazione efficace, strumento di crescita della capacità di autovalutazione delle scuole, indipendente e autonomo.
Le scuole non hanno paura di essere valutate, ma di essere valutate male, in maniera approssimativa, sulla base cioè di criteri riduttivi, che tengono conto di poche variabili, talvolta le più semplici, trascurandone altre ben più complesse e rilevanti.
Vale la pena sottolineare che la valutazione non si esaurisce nella rilevazione esterna delle prestazioni; ad essa si affianca quella delle singole Istituzioni scolastiche, decisiva per completare il quadro valutativo. Dobbiamo promuovere un’idea di autovalutazione come individuazione di criticità, definizione di obiettivi e promozione di processi di miglioramento. Un processo continuo dinamico e flessibile, che non si esaurisca tra valutazione degli apprendimenti e commissioni di auto/valutazione interna al Collegio.
In conclusione, il discorso valutativo dovrebbe essere affrontato in una prospettiva aperta e dinamica, pronta a recepire le numerose variabili che entrano in gioco.
La formazione
A livello di formazione dei nuovi docenti chiediamo che vengano garantiti concorsi ogni due anni come peraltro stabilito dalla legge, perché solo in questa maniera è possibile rimuovere all’origine la formazione del precariato. Chiediamo altresì che venga gestita in maniera equa l’attuale situazione che vede migliaia di docenti in attesa del giusto inquadramento: gran parte del funzionamento delle nostre scuole è condizionato da questo fenomeno che pesa sul futuro della scuola e dei docenti coinvolti, che sono sempre gli ultimi ad arrivare e i primi a essere licenziati. L’incertezza della loro situazione rende incerto il futuro della scuola stessa.
La scuola è pronta ad assumere un ruolo ben più significativo dell’attuale nella formazione professionale dei nuovi docenti.
Al termine del percorso di formazione iniziale di ogni docente crediamo sia giusto stipulare un contratto a tempo indeterminato che può rappresentare l’inizio di una formazione in servizio permanente che, è bene evidenziare, si gioca nella scuola, perché è ormai chiaro che insegnare è una di quelle professioni per la quale non si è mai formati una volta per tutte.
L’insuccesso
La nuova stagione politica che si apre dovrà fare un grande sforzo per combattere la dispersione e l’abbandono che sono la misura dell’insuccesso della scuola. Troppi nostri giovani escono dal percorso di studio precocemente, senza aver acquisito alcun titolo e di conseguenza non riescono nemmeno a trovare un lavoro. È un problema scolastico che diventa quasi immediatamente problema sociale.
L’insuccesso scolastico si palesa chiaramente al momento dell’ingresso nella secondaria di secondo grado, ma inizia molto prima, in maniera subdola e occulta. Per contrastarlo dobbiamo avere uno sguardo più ampio, che abbraccia tanto la scuola che viene prima, che quella che viene dopo. A tal proposito l’orientamento svolge una funzione importante, ma la didattica orientativa, e questo non dobbiamo dimenticarlo, è prima di tutto una buona didattica, basata sulla continuità del curricolo.
L’abbandono scolastico è sovente conseguenza della perdita di senso verso la scuola da parte degli studenti, della scarsa fiducia in essa e nel mancato interesse verso quanto viene loro proposto, che in non pochi casi umilia le loro intelligenze e le loro passioni che si giocano altrove e si nascondono nei loro sottobanchi. Se spetta soprattutto agli insegnanti rivedere profondamente ciò che si insegna, come lo si fa e con quali strumenti, allo scopo di rendere “vive” quelle discipline che gli studenti percepiscono spesso a ragione come “nature morte”, spetta sicuramente alla politica sostenere in modo efficace l’azione della scuola contro la dispersione.
Il primo ciclo
Ecco perché abbiamo bisogno di Istituti comprensivi che non nascano sotto la logica di razionalizzazione della spesa – come mera somma di istituti preesistenti – bensì quale nuovo modello di scuola che favorisce il dispiegarsi armonico e progressivo di un curricolo verticale a partire dalla scuola dell’infanzia di cui va ribadita l’indispensabilità. Nei comprensivi ogni segmento di scuola deve trovare rispettata, arricchita e valorizzata la propria specificità.
Le Linee Guida della Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo da poco emanate vanno nella giusta direzione, ma per evitare che restino su carta è necessario che venga varato un piano di azione che in primis assicuri:
– l’avvio della formazione dei docenti all’interno delle scuole con l’insediamento di laboratori didattici accompagnati da esperti, scelti dalle stesse scuole, e implementati da adeguati contributi economici per almeno tre anni. La formazione ha ricadute didattiche se radicata sul campo e distesa in tempi lunghi;
– il recupero del modello pedagogico e didattico del tempo pieno e del modulo con le relative compresenze, per garantire a ciascun bambino e bambina tempi giusti e modalità adatte alla coltivazione delle loro attitudini e personali atteggiamenti. Siamo convinti che il modo più giusto di orientare sia dare strumenti per orientarsi, per conoscere il proprio sé e quello degli altri, una scoperta che avviene di pari passo con quella del mondo che la scuola offre.
Anche per questa ragione chiediamo sia rivisto l’esame di terza media che ha accentuato un carattere terminale e certificativo inutile e dannoso, col fine di restituirgli il ruolo orientativo ben più confacente a un sistema che ha spostato ai sedici anni il completamento dell’obbligo d’istruzione.
Coerentemente auspichiamo che venga rimesso in discussione il voto decimale nel primo ciclo, perché incompatibile con un curricolo per competenze, come tracciato dalle Indicazioni nazionali, e con una didattica attiva e processuale funzionale alla progettazione per competenze. La certificazione delle competenze intese come traguardi intermedi deve essere finalizzata all’orientamento e alla costruzione di saperi di cittadinanza senza ridursi a inutile e insidioso esercizio burocratico di traduzione del voto in giudizio.
Il secondo ciclo
A livello di secondo ciclo crediamo indispensabile connotare il segmento d’istruzione tra i 14 e i 16 anni come un biennio fortemente unitario. Esso rappresenta lo snodo cruciale dell’intero sistema d’istruzione in quanto deve garantire la base culturale forte necessaria ai successivi trienni di studio, e nello stesso tempo dare respiro ai percorsi didattici del primo ciclo distendendoli fino al termine naturale dell’obbligo d’istruzione. L’ottica da adottare è quella che riconosce l’inesistenza di una terminalità del percorso orientativo, che è un processo aperto con fasi riconoscibili ma senza cesure. Occorre caratterizzare il biennio come terreno di sviluppo e di conclusione del cammino iniziato nella scuola secondaria di I grado.
Anche in questo caso l’adozione convinta di una didattica fondata sull’esercizio delle competenze culturali di cittadinanza e la loro certificazione in senso unitario e trasversale tra i diversi indirizzi, fondata su standard condivisi, potrà garantire una reale armonizzazione all’interno del biennio dell’obbligo.
Solo questa armonizzazione tra i cicli, che risulterà assai facilitata se si costituiranno Poli di istruzione secondaria, può contrastare efficacemente l’alta percentuale di insuccesso che colpisce gli studenti in questa delicata transizione.
Inoltre nei Poli tecnico-professionali dovrebbe realizzarsi l’integrazione del percorso scolastico con quello dell’istruzione e della formazione professionale non più vissuto come alternativo all’istruzione, ma risorsa preziosa per l’idea operativa di cultura del lavoro di cui è portatore, facendo sì che i saperi non formali e informali diventino ingredienti dei percorsi formalizzanti della scuola.
Affidare alle autonomie scolastiche la responsabilità della gestione dell’obbligo d’istruzione fino ai 16 anni, in accordo e collaborazione con gli Enti locali e con le strutture che gestiscono la formazione professionale, ci sembra anche la strada migliore per preparare il suo ulteriore innalzamento.
La condivisione
Per concludere, si tratta di riaprire su questi temi il confronto nell’intero Paese, dove il senso comune sulla scuola è ancora fermo a un pensiero sbrigativo.
Per questo ci auguriamo che il nuovo Parlamento lanci un dibattito che coinvolga tutto il Paese sui bisogni reali della scuola e sul futuro dell’istruzione, come avvenne in Francia con l’istituzione della Commissione Thélot.
Prendersi il tempo di una riflessione profonda inaugurando una stagione dell’ascolto può sembrare anacronistico rispetto alla rapidità e pervasività delle trasformazioni in atto nella società, ma è un passaggio indispensabile per tracciare quell’orizzonte condiviso che sia capace di dar senso ad ogni passo, pur piccolo, che potremo fare.
*presidente nazionale del C.I.D.I.
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