25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». 34State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso;35come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.36Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
In questa domenica, con cui ha inizio il tempo di Avvento, la liturgia ci presenta un brano del Vangelo di Luca che rimanda alla vigilanza e all’attesa. Il riferimento è agli eventi “ultimi” della storia, sempre percepiti con distanza da ognuno di noi: eppure il messaggio del Vangelo odierno propone un modello di vita, quasi un’impostazione della quotidianità, che raggiunge tutti.
Il contenuto del testo si ritrova, con alcune sottolineature particolari, anche negli altri Vangeli. Parla di segni potenti degli astri e delle forze della natura (di guerre e carestie, Mc 13) insieme all’angoscia e alla paura dell’uomo di fronte alla sua fine. A questi eventi, che sono ingredienti della storia e si avverano in ogni epoca (anche in quella dell’evangelista) si associa – folgorante – la venuta di Gesù “sulle nubi del cielo”. Queste parole richiamano alla profezia di Isaia (Is 4,5) e saranno ripetute da Gesù stesso davanti a Caifa, durante il processo (Mc 14,62). È il ritorno di Cristo, il giudizio: un evento che tutti vedranno, in cui il velamento, che è la cifra dell’intera Rivelazione e di cui le nubi sono immagine, finirà. Se ne parla come di qualcosa che segna una rottura definitiva, che non è in continuità con gli eventi storici e che, per tale ragione, non può essere ravvisata in essi, né conosciuta da alcuno, se non dal Padre (Mt 24,36).
A queste immagini in apparenza terribili è, nel Vangelo di oggi, associata la liberazione e l’invito a sollevare il capo. Gli stessi avvenimenti che disorientano gli uomini saranno per i cristiani il segno che l’ora della salvezza si avvicina. Questo brano è fonte di consolazione per essi: non perché l’angustia del mondo è minimizzata, né perché vengono promessi prodigi per quel tempo, ma perché ricorda a ogni credente il senso della Storia. Essa ha il suo tempo e il suo potere, anche quando si dirige contro Dio. Ma al di sopra della realtà terrena, delle potenze del mondo, appare il Signore. La storia finirà, perché è nel tempo, Lui vive nell’Eternità. Eternità simboleggiata del cielo, che per l’evangelista si trova in una sfera sottratta a ogni cambiamento sensibile e al di sopra delle vicende della terra. È rispetto a questa eternità che il Vangelo ci invita alla vigilanza e alla preghiera, per “comparire davanti al Figlio dell’uomo”.
Questo discorso è lontanissimo da quanto l’uomo moderno percepisce: il mondo ha dimenticato di avere un futuro. È altrettanto lontano dall’attesa febbrile, ma vuota, che i primi cristiani sperimentarono con la distruzione del tempio e, poi, con le persecuzioni romane. È un discorso nuovo, che invita ad una attesa operante e sposta l’interesse dalle “cose che avverranno” verso le “cose che avvengono”, punta l’attenzione sul presente come luogo di fedeltà al Signore. Presi dagli affanni, se non vigiliamo sul percorso della nostra vita, la fine, la morte, il giudizio, si abbatteranno su di noi.
L’attesa dell’Avvento non è solo preparare il cuore al mistero immenso della Incarnazione, alla tenerezza di un Dio che sceglie di abitare la terra come un bambino: è, prima di tutto, prepararsi alla seconda venuta del Signore, a riconoscere la verità negli eventi della storia, ad accettare la Rivelazione e a fare perenne memoria della salvezza donata. Questo “tempo forte”, che la Chiesa ci offre, serve a ritagliare, nella distrazioni della vita, il tempo per il Signore, che è l’unico che può dare senso al resto del tempo e agli affanni, perché ” i costruttori non fatichino invano” (Sal 127). Maria è modello di questa attesa fiduciosa che il Signore, presto o tardi, verrà. Una attesa non paurosa del Cristo giudice: egli ingiustamente si è fatto peccato per noi, e non può farci paura, se scegliamo di camminare con lui.
È rivoluzionario pensare che la vigilanza dell’oggi, la fugacità delle ore della nostra giornata, possano fondare l’eternità. È impossibile vivere questa vigilanza attaccandosi alle seduzioni del mondo, da cui scaturisce la paura di averle sottratte da parte della morte o della fine dei tempi. Attendere l’aldilà non significa odiare il mondo, ma riconoscere che esso, nella sua bellezza e nel suo dolore, è perituro e non è la roccia su cui costruire la casa (Mt 7,27). Tanta purificazione e preghiera sono necessarie per vivere questa consapevolezza. Non si può vigilare senza avere nel cuore la gioiosa attesa del Signore che viene, che questo tempo ci invita a ritrovare.
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