Il ruolo della politica nel cambiamento globale
A trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, il mondo globale vive un problematico cambiamento d’epoca. Dalla crisi economica allo sviluppo della tecnologia, dal nuovo ordine geopolitico mondiale alla distruzione dell’ambiente, la politica – a qualsiasi livello – è chiamata ad un rinnovato ruolo di responsabilità verso il futuro. Su questi temi, abbiamo intervistato Piero Cavaleri. Docente a contratto presso la Facoltà di scienze dell’educazione Auxilium e didatta ordinario presso la Scuola di specializzazione in psicoterapia dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, Cavaleri è il presidente dell’associazione “PiùCittà” sorta a Caltanissetta per lo sviluppo di buone pratiche sociali e politiche.
– Per alcuni studiosi, la crisi che attraversa l’umanità di questi anni è caratterizzata dall’assenza di punti di riferimento istituzionali, religiosi, sociali la quale conduce alla quasi impossibilità di immaginare, e dunque percorrere e costruire, il futuro. Papa Francesco afferma che la via d’uscita da questa palude è legata alla logica del dono, della relazione, dell’apertura e dell’accoglienza. È d’accordo?
Sono pienamente d’accordo! Sul dono e sulla relazione con l’altro ho scritto due libri a cui sono molto legato: Il dono nel tempo della crisi e Vivere con l’altro. L’assenza di punti di riferimento, che caratterizza il nostro tempo, ha radici lontane. Per molti versi costituisce l’esito di una modernità che ha legittimamente posto l’individuo al centro di ogni cosa, ma senza tuttavia conservare l’attenzione per la comunità, per la fondante presenza dell’altro.
L’altro, così come la comunità e le sue espressioni, sono divenute presenze antagoniste dell’individuo, mentre al contrario esse lo fondano e lo costituiscono: “l’altro da me è sempre altro di me!”.
Occorre recuperare una prospettiva nella quale l’affermazione della dignità individuale si coniughi con la promozione della comunità in ogni sua dinamica vitale. Solo recuperando una tale prospettiva è possibile umanizzare il mondo di oggi e uscire dalla palude nella quale ci siamo cacciati.
Il dono come spazio di riconoscimento dell’altro; la relazione con l’altro come passaggio ineludibile per costruire la relazione con se stessi, costituiscono di sicuro le coordinate preziose da cui partire.
– Il cambiamento d’epoca in atto, spinge tutti quanti ad un ripensamento del proprio operato sociale, pubblico e politico. Secondo Papa Francesco, come ha sottolineato nell’Evangelii gaudium, non si tratta più di occupare gli spazi di potere bensì di avviare processi. Quali tipi di processi possono riformare la società e la politica attuali?
Senza alcun dubbio processi che partano “dal basso”, processi partecipativi e inclusivi che traggano origine soprattutto dalle comunità locali e dalle reti territoriali. L’economia globale “dall’alto” ha stravolto i confini nazionali della politica e ha svuotato il potere di chi la esercita, imponendo sue logiche che offendono la dignità umana e, a volte, attentano alla democrazia.
La politica non è più in grado di contenere lo strapotere della ristretta aristocrazia globale, dell’alta finanza e della tecnologia. Solo processi sociali che hanno come epicentro “l’uomo relazionale” e la sua comunità possono contrastare i nuovi “feudatari” che dominano la scena del mondo, possono umanizzare la società e rinnovare il modo stesso di fare politica.
– Nonostante la crisi in atto, la politica conserva un ruolo importante per la vita delle nostre comunità. Attori fondamentali della prassi politica sono i partiti giunti – tanto quelli storici quanto quelli da poco sulla scena pubblica – ad uno stato quasi irriformabile. A suo parere, cosa dovrebbe cambiare nei partiti odierni? È possibile una democrazia priva di partiti?
Non riesco ad immaginare una democrazia compiuta senza partiti! Ma a condizione che essi cessino di essere consorterie, centri di affari, di scambi clientelari, agenzie di propaganda prive di visione e di etica, organizzazioni al servizio di “narcisi fuori controllo” che umiliano ogni forma di partecipazione dal basso e che si servono della politica senza servirla, come ci ricorderebbe Sturzo.
I partiti possono oggi riacquistare un ruolo vitale se torneranno a umanizzare la politica, se sapranno rifondarsi e proporsi come luoghi di confronto, di elaborazione progettuale, come spazi relazionali in grado di valorizzare i processi di partecipazione che partono dai territori e dalle comunità locali, facendone sintesi sia sul piano regionale che nazionale.
– Trent’anni fa, i giovani furono tra i protagonisti positivi di un cambiamento d’epoca: il crollo del muro di Berlino. I giovani del XXI secolo sono chiamati ad attraversare questioni altrettanto fondamentali. Come incoraggiare, e sostenere, il contributo che i giovani sono chiamati a dare al nostro tempo?
L’economia globale sta producendo livelli di ricchezza mai raggiunti in passato, ma al contempo sta creando gravi forme di disuguaglianza, nuovi modelli di organizzazione del lavoro che ledono la dignità umana.
A pagare il prezzo più alto di queste radicali trasformazioni sono soprattutto i giovani. A molti di essi è ostacolato l’acceso alla formazione di qualità e l’ingresso nel mondo del lavoro. Ad essi sono negati non solo il futuro, ma anche la speranza, la fantasia, la creatività che l’accompagnano.
Cinicamente impassibili, stiamo producendo fra i giovani una mole inimmaginabile di sofferenza psichica, stiamo bruciando preziose risorse umane. Ad una tale frustrazione i giovani possono reagire o chiudendosi passivamente in un isolamento che spesso li consegna alle dipendenze più patologiche; oppure possono collegarsi fra loro, come di recente hanno fatto in molte piazze d’Italia, sprigionare l’energia creativa che solo essi posseggono per conquistare spazi ancora negati e attivare processi di cambiamento di cui solo essi possono essere protagonisti.
Affinché sia la seconda opzione a prevalere, occorre che le istituzioni, la scuola, la Chiesa, il mondo della produzione, dell’associazionismo stringano una sorta di “Patto educativo”, come ha già proposto papa Francesco, per sostenere al meglio le nuove generazioni e implementarne le potenzialità. La capacità di agire in modo adeguato non si improvvisa, si apprende col sostegno di chi ti ha preceduto.
– Un recente studio del sondaggista Pagnoncelli certifica che i cattolici del Belpaese, più o meno, hanno preferenze politiche uguali a chi non crede. Pare scomparso il contributo specifico del cattolicesimo alla politica italiana. È così?
Purtroppo è così! I cattolici tendono a concepire l’esperienza di fede come una dimensione privata della loro vita, senza alcun rimando all’impegno sociale, senza alcuna scelta conseguenziale in risposta alle diverse povertà, senza alcun coerente ascolto di quel grido che si alza assordante dalle molteplici periferie che papa Francesco, da qualcuno deriso e umiliato, non si stanca mai di indicarci con tenacia.
La sensibilità ai problemi sociali emergenti, l’attenzione alle istanze di riconoscimento, il sostegno ai processi di umanizzazione e di inclusione dovrebbero costituire il segno di distinzione e il contributo specifico dei cattolici italiani alla politica. Ma così non è! È una costatazione che deve interpellare le gerarchie ecclesiastiche, ma soprattutto noi laici. Non certo per recriminare o generare pessimismo, ma per proporre nuove esperienze formative più adatte al tempo, per sperimentare nuove aggregazioni in grado di incidere sul complesso mondo della politica italiana.
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