Introduzione alla lectio divina su Gv 18, 33-37
22 novembre 2015 – XXXIV domenica del tempo ordinario
33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?”. 34 Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. 35 Pilato disse: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”. 36 Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. 37 Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.
Particolare del Cristo Re dal Polittico dell’Agnello Mistico o Polittico di Gand,
Jan van Eyck 1426-1432, Cattedrale di San Bavone, Gand
La fine dell’anno liturgico è contrassegnata dalla ricorrenza del Cristo Re, festa istituita nel 1925 con l’Enciclica Quas Primas di papa Pio XI, che i cattolici condividono comunque con le altre confessioni cristiane.
Non tutti sanno che Pio XI, già dai primi mesi del suo pontificato, ricevette continue richieste da parte del clero per istituire questa festa. Nel 1923, una delle suppliche avanzate al pontefice, con la firma di 340 fra cardinali, arcivescovi, vescovi e superiori generali, ne invocava l’introduzione: «Per riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall’ateismo ufficiale, la Santa Chiesa si degni stabilire una festa liturgica che, sotto un titolo da essa definito, proclami solennemente i sovrani diritti della persona regale di Gesù Cristo, che vive nell’Eucaristia e regna, col Suo Sacro Cuore, nella società».
Certamente mosso anche dall’esigenza di opporre un argine teologico alle crescenti spinte verso il totalitarismo dei regimi politici di quel tempo attraverso il richiamo all’assorbente regalità del Cristo, papa Pio XI, ad ogni modo, affermava anche che: «D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano».
Depurando queste parole dal linguaggio altisonante e gerarchico del tempo, scarsamente comunicativo per le orecchie degli uomini del secondo millennio, comprendiamo bene come il concetto di regalità si presti a forti ambiguità, le stesse ambiguità che animano anche il dialogo tra Pilato e Gesù nel brano evangelico di Giovanni che la liturgia propone.
Il contesto è quello della passione, dell’Ora di Gesù, in cui croce e gloria coincideranno. Gli scribi ed i capi del popolo giudeo hanno appena consegnato Gesù al governatore romano per giudicarlo e condannarlo a morte. Nel racconto giovanneo della passione non c’è attenzione al processo religioso all’interno del Sinedrio. Qui la regalità di Gesù si esprime soprattutto nel confronto con l’autorità politica romana.
Tra i giudei, fermi fuori dal pretorio per non contaminarsi in vista dell’imminente Pasqua, da un lato, e Gesù, fatto condurre all’interno delle stanze del pretorio, dall’altro, assistiamo al farsesco andirivieni tra dentro e fuori del potente governatore, metafora narrativa della divisione interiore di Pilato, lacerato tra le insidiose logiche di potere (v. 19, 12 “Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare“) e la callida comprensione della straordinarietà del prigioniero (“cercava di liberarlo”).
I giudei consegnano, dunque, Gesù a Pilato con la semplice richiesta di condanna a morte di un uomo senza processo (gli accusatori preciseranno che si è fatto Figlio di Dio, v. 19, 7, ma non formulano alcuna accusa al momento della consegna: “se non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnato”, v.18,30). Pilato interpreta le ragioni della richiesta di condanna nell’unica ottica che per lui potrebbe avere un senso: la politica e il potere. Questo Gesù, pensa Pilato, deve essersi reso inviso ai suoi stessi capi, perché ha conquistato troppa importanza, troppa influenza, forse si è accreditato come loro guida. “Tu sei il re dei giudei?” è la domanda che con provocatoria curiosità pone senza sapere di aver profeticamente colto l’aspetto messianico del suo misterioso prigioniero. Gesù instaura, secondo l’abitudine tipica dell’evangelista, un dialogo “multilivello” con il suo interlocutore e tenta di insinuare in Pilato la possibilità di affermare la regalità di Gesù come credente e non come mero osservatore (“Dici questo da te..?”).
Ma Pilato è radicato in un concetto di regalità del tutto umano, in cui la violenza, la paura, l’imposizione della propria volontà su quella altrui, costituiscono una solida struttura di potere. Ma Gesù è un “Re al contrario” (E. Bianchi), è un re senza esercito, un re senza soldati, né sudditi. È un re che non regna, avallando logiche terrene, ma che comanda nei nostri cuori secondo la mente di Dio, che è totalmente altro rispetto al calcolo, alla violenza, alla oppressione. In poche parole, “il mio regno non è di quaggiù”.
Il livello di comprensione di Pilato (e forse di ogni uomo di ogni tempo su questo tema) è diverso da quello di Gesù: che Re è mai questo? Un re con la “r” minuscola, il re degli oppressi e dei perdenti, un re che muore ignominiosamente e che rinuncia alla violenza, accettandola semmai su di sé, un re il cui potere è simboleggiato da una corona di spine, può davvero dirsi Re? Una vittima del potere umano può essere un Re?
Ebbene i cristiani confessano che questo Gesù è il loro Re. La regalità secondo Gesù Cristo si fonda, infatti, sulla testimonianza e sulla verità. “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”. (v. 18, 37). Gesù è re perché conosce il Padre e perché testimonia con la sua vita fino alla morte quanto sia sovrabbondante l’amore di Dio. I soli sudditi di questo Re, coloro che ripetono quotidianamente e instancabilmente “Venga il Tuo regno”, sono gli ascoltatori assidui della Parola di Dio. Coloro che, per usare le parole di Giancarlo Bruni, comprendono la regalità di Gesù “nel senso di un Tu amico che con autorità fonda, regge e governa il nostro modo di pensare Dio, il nostro modo di pensare l’uomo e il nostro modo di pensare la Chiesa”.
Ascoltando questo Vangelo, tutta la Chiesa di Palermo domenica accoglierà il suo nuovo pastore, con l’augurio che egli possa per primo felicemente testimoniare con la sua vita il servizio regale di Gesù secondo il cuore di Dio.
Lorenzo Jannelli
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