2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma.6Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina;7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono.14Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Pochi altri passi del Vangelo hanno influenzato l’agire dell’uomo, da duemila anni, come quello su cui oggi siamo invitati a riflettere. Questo insegnamento di Gesù, unico in cui parla esplicitamente del rapporto di unione tra uomo e donna, tocca una corda nei nostri cuori, che è carica di complessità, inadeguatezza, dolore, gioia, fragilità. È chiamato in causa il matrimonio, istituzione etica e sociale fondante le comunità del tempo in cui Marco scrive e di oggi. La risposta di Gesù, tuttavia, rimanda all’inizio della creazione, a come Dio ha ordinato il rapporto tra i sessi conferendo al discorso una indicibile serietà, il peso della verità che sta alla radice (che era “in principio”) dell’uomo.
La questione è posta dai dottori della legge come un tranello da tendere al Maestro. Sulla liceità del ripudio esisteva un’ampia casistica, infinite distinzioni e fattispecie ben note agli interlocutori di Gesù. Chiedere per tentare, opera del maligno, è l’approccio dei farisei nei confronti della verità offerta da Cristo: non rivela una reale apertura, come quella dei discepoli che lo interrogano con disposizione ad ascoltare e comprendere, ma la volontà di affermare la propria posizione, di far cadere Gesù nei meandri delle norme per sminuirlo e screditarlo. Gesù risponde con la domanda sulla Legge (“Che cosa vi ha ordinato Mosè?”) per spiegarla, superarla, portarla a compimento, come ci racconta l’evangelista Matteo nel quinto capitolo, in cui ricorre il tema “Avete inteso che fu detto dagli antichi…ma io vi dico” (Mt 5,17-48). L’ordinamento è stato scritto per la durezza del cuore, per il cuore pietrificato dal peccato. Sovente, nella società del tempo, la moglie veniva “comprata” e considerata come una proprietà di cui disporre e ciò rendeva il rapporto, fondato sul possesso, di per sé fuori dal disegno di Dio. Anche oggi le nostre relazioni, sebbene non più caratterizzate da una compravendita di beni materiali economicamente stimati, sono spesso volte ad accaparrarsi un bene come proprietà (la bellezza dell’altro, la sua compagnia, la sua capacità di amare, le sue qualità e competenze) e sono, per questo, parimenti lontane dal disegno del Creatore. Gesù spiega che il “libello del ripudio”, dato da Mosè, era teso a limitare i danni del più debole, a sottrarre la donna all’arbitrio dell’uomo, non a legittimare l’azione adultera.
Il Signore richiama alla Genesi (2, 24): il maschio e la femmina, lasciata la propria casa, si uniscono per essere una carne sola. E aggiunge: l’uomo non divida questa carne congiunta da Dio. Dio distingue per unire, l’uomo confonde per dividere. Al chiarimento chiesto dai discepoli, Gesù ribadisce il valore della indissolubilità della coppia ed espone significato dell’adulterio. È qui in gioco qualcosa di grande, nei riguardi del quale l’uomo investe buona parte delle proprie energie vitali. L’adesione a questo messaggio non è, quindi, priva di conseguenze, anzi ne è carica in modo terribile. Il matrimonio di cui parla Cristo ha un significato che non si riduce all’istituzione sociale ed etica tesa alla conservazione della specie, al soddisfacimento del bisogno “sociale” di aiuto per sopravvivere, al superamento della solitudine, alla regolamentazione delle caotiche passioni dell’uomo. Esso è inteso come testimonianza profetica dell’amore trinitario e del rapporto tra l’uomo e Dio, dell’amore fedele e totale che ci fa essere ciò che siamo e ci conferisce dignità. Se pensiamo al matrimonio come opera esclusiva dell’uomo, come evento “naturale”, le parole di Gesù risultano inaccettabili: chi può rispondere della mutevolezza del proprio cuore? Come si può dire “per sempre”? Come si può precludere la nascita di altre relazioni? C’è del mistero, rispetto alla mera natura, nel matrimonio cristiano: un carattere sovraumano che può essere fonte di pace e sostegno ma anche un pesante destino (R. Guardini, Il Signore, IX capitolo). Potrebbe essere considerata “naturale” una unione fedele e eterna nell’Eden, nello stato di grazia dell’uomo che non si è ribellato a Dio; non è così per l’uomo diviso a causa del peccato in cui “natura” spesso corrisponde a istinto ed egoismo.
Vivere il rapporto uomo-donna nella sua verità originale è il dono evangelico di oggi, così difficile da accogliere. Un rapporto che è realtà transitoria dell’amore eterno e misterioso di Cristo per la sua Chiesa, la quale nasce dal suo costato come per Eva da Adamo (Gn 2,21), che è la sposa raggiunta da Gesù incarnandosi ed abitando il mondo, per cui Egli lascia il Padre. L’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio è sacramento, segno tangibile della grazia. È modello dell’amore trinitario più delle altre relazioni esistenti (che, tuttavia, lo sono) perché è strutturalmente un rapporto “tra diversi”, perché educa all’alterità e all’ascolto, con tutto il dramma che ciò comporta, più di ogni altra relazione; perché è generativo, fecondo come l’amore della trinità che crea il mondo. Il Sacramento comporta che, sebbene siano le persone liberamente a sceglierlo, entra in gioco l’incancellabile azione divina. Non è più un rapporto “contrattuale”, con le sue clausole d’uscita. È un mistero, e “non tutti possono capirlo” (Mt 19,11). È il mistero di due esseri umani instabili e confusi che accolgono, in coscienza e volontà, di trasformare la loro comunione – con tutta l’inadeguatezza e la tragedia che vi si trova – attingendo da una energia di unità esterna e santa, da Dio (R. Guardini, Il Signore, IX capitolo). Non è l’adempimento dell’amore nella sua immediatezza ma la lenta trasformazione di esso nel vero amore, ad opera della grazia stessa del sacramento. Rompere l’amore del matrimonio e sostituirlo con un altro, dividere questa carne, corrisponde a non credere più nella grazia (nascosta) del Sacramento. Il fortissimo messaggio di oggi, insieme alle parole di Mt 5,28 “Chi guarda una donna per desiderarla ha già commesso con lei adulterio nel suo cuore” lasciano sbigottiti i discepoli e noi, e richiedono, per essere accolti, grande responsabilità e discernimento da una parte e grande fede sull’operato dello Spirito Santo dall’altra. Accogliere questa verità è la chance divina da preservare “come un tesoro in vasi da creta” (2Cor 4,7), per vivere e crescere come uomini nel Suo amore.
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