“Per i cattolici la Chiesa è composta sì da uomini che ne organizzano il volto esterno; ma, dietro di questo, le strutture fondamentali sono volute da Dio stesso e quindi sono intangibili. Dietro la facciata umana sta il mistero di una realtà sovrumana sulla quale il riformatore, il sociologo, l’organizzatore non hanno alcuna autorità per intervenire”.
Probabilmente l’allora card. Ratzinger, quando, nel 1985, pronunciava queste parole in un’intervista a Vittorio Messori, non immaginava di diventare papa e ancora meno di terminare con le dimissioni il pontificato.
E continuava:
“se la Chiesa siamo soltanto noi, se le sue strutture non sono quelle volute da Cristo, allora non si concepisce più l’esistenza di una gerarchia come servizio ai battezzati stabilita dal Signore stesso. Si rifiuta il concetto di un’autorità voluta da Dio, un’autorità che ha la sua legittimazione in Dio e non – come avviene nelle strutture politiche – nel consenso della maggioranza dei membri dell’organizzazione”.
Queste parole gettano una luce diversa su un gesto che, dopo aver lasciato tutti a bocca aperta, sta ricevendo numerosissimi attestati di stima, ma ha fatto provare a molti una sensazione di smarrimento e di instabilità, come se venisse meno un punto di riferimento, anzi, il punto di riferimento. Nel compierlo, Benedetto XVI si è certamente ispirato alla sua fede, quella fede che ha espresso nelle parole dell’intervista a V. Messori.
In questa luce una lettura del tutto umana delle dimissioni come “resa” alla debolezza dell’età che avanza, o anche come espressione della capacità di mettere il servizio alla Chiesa al di sopra dell’affermazione di sé sono sì veritiere, ma anche incomplete. Non che questo ne sminuisca il valore, come testimonia l’ammirazione che ha suscitato. Proprio pochi giorni fa, nel mio post precedente Favole olandesi, plaudevo alla decisione di Beatrice, regina dei Paesi Bassi, di abdicare, lasciando il trono al figlio nonostante non si sentisse appesantita dall’incarico: un gesto in cui leggevo una grande carica di autorevolezza.
Perlomeno da un punto di vista credente, cioè dal punto di vista di Benedetto XVI, la rinuncia al pontificato dice molto di più: lungi dall’essere un “accomodamento” della costruzione della Chiesa alla debolezza umana, ne esprime in qualche modo la struttura più intima, il suo stesso mistero. Che altro non è che il mistero dell’incontro fra dono di Dio e libertà dell’uomo. Ci vuole grande libertà nel riconoscere i propri limiti, e ce ne vuole una ancora più grande per lasciare l’incarico di somma responsabilità nell’istituzione a cui si è dedicata la propria stessa vita. Può viverlo non come un fallimento o come un tradimento solo chi ha la consapevolezza di essere null’altro che la facciata umana di una realtà sovrumana: la fede gli assicura che Colui che la ha fondata saprà trovare a chi affidarla. Compiendo questo passo, il successore di Pietro, il Vicario di Cristo in terra, si configura in modo singolare allo stesso Gesù: il primo a essersi “ritirato”, affidando la sua Chiesa nascente alle cure dello Spirito attraverso l’opera dei discepoli.
Così, attraverso le dimissioni di Benedetto XVI, ci ritroviamo di fronte a quella che i teologi chiamerebbero la “radice pneumatica” della Chiesa, il suo essere guidata dallo Spirito (pneuma, nel lessico nel Nuovo Testamento). Per questo la Chiesa è strutturalmente aperta al cambiamento, all’ascolto delle sfide di ogni tempo, e non chiusa in maniera statica in se stessa e nelle sue tradizioni, compresa quella che il papa non si dimette. È questo il senso profondo di quell’aggiornamento che costituisce uno dei fulcri del Concilio Vaticano II e che è tutt’altro che un tentativo di darsi una immagine al passo con i tempi. L’aggiornamento è un dinamismo, un programma, un modo di essere, non qualcosa di compiuto una volta per tutte. Con il Concilio, la Chiesa si scopre sempre in un processo di riforma, deve continuamente affrontare le tensioni tra la sua dimensione storica e la fedeltà alla missione ricevuta, tensioni tutt’oggi forti, come mostrano tanto spesso le cronache. E il cambiamento non è sinonimo di infedeltà. Ma un conto è dirlo e un conto è farlo. Benedetto XVI ci ha mostrato concretamente la strada.
Tutti coloro che pensavano che lo Spirito potesse soffiare solo dal basso, nei margini della Chiesa, nelle parti più “rivoluzionarie”, sono stati smentiti. “Lo Spirito soffia dove vuole” dice il Vangelo di Giovanni. Anche “ai piani alti”. Questo, aggiungiamo, può anche insegnare qualcosa anche al nostro Paese, e darci una speranza supplementare, in un momento in cui lo scoraggiamento e lo disfattismo sono alle porte: i cambiamenti non avvengono per forza solo dal basso. Anche chi ha responsabilità di governo può essere segno di un vero cambiamento, il segno di un vento nuovo. A condizione di essere animato dalla libertà interiore che viene dal sapersi a servizio di un bene comune che lo trascende.
Giacomo Costa
http://www.huffingtonpost.it/giacomo-costa/rivoluzione-benedetto_b_2667324.html?utm_hp_ref=italy
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