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Una riforma da brividi..

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di Lorenzo Jannelli

 

Al grido del “Chi sbaglia, paghi” e con il cinguettio compiaciuto dei nostri politici è stata approvata la settimana scorsa la legge di riforma del sistema di responsabilità civile dei magistrati.

 

I magistrati vedono, dunque, cambiare la legge che regolava la loro responsabilità civile, ossia, il fatto di poter essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio per gli sbagli compiuti. E assistono ad un irrigidimento singolare quanto pernicioso (per i cittadini, non solo per i magistrati) che, peraltro, non ha soddisfatto neanche coloro che, critici con la magistratura, pretendevano sistemi di responsabilità ancora più stringenti.

 

Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. 2. Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”.

 

Questo non è il nuovo testo della legge, bensì il vecchio testo dell’art. 2 della L. n.117\1988 (cd. Legge Vassalli), che, contrariamente a quanto da più parti si sente dire, già prevedeva esplicitamente che i magistrati rispondessero con il loro patrimonio per i danni provocati.

La nuova legge, scartando ipotesi di responsabilità diretta del magistrato (l’azione è sempre proposta contro lo Stato, ma oggi con obbligo di rivalsa sul magistrato) ha eliminato una fase preliminare di filtro finalizzata a bloccare le cause manifestamente infondate o tardive. Tale filtro aveva attirato a sé numerose critiche per il numero ristretto dei giudizi ammessi (in tutto circa 400 dalla approvazione della legge). Le critiche (che in generale certo protagonismo giudiziario si è meritato) sono in questo caso ingenerose perché si è scorrettamente fatta passare l’idea che i magistrati interpretassero a proprio uso e consumo il filtro come mezzo per bloccare i giudizi di responsabilità, senza sapere che, in realtà, era presente un termine processuale nella legge (tre anni dal fatto se il processo non era finito..) dal quale decorreva un termine biennale per proporre l’azione.

 

Ecco, con la nuova legge, il termine non scompare, passa da due a tre anni e, tuttavia, viene eliminata la fase-filtro, cosicché per capire se l’azione è ammissibile o meno, manifestamente infondata o meno, dovrà necessariamente farsi un processo in cui il giudice sarà di fatto costretto a costituirsi in giudizio a mezzo di un proprio avvocato. Sarà così sufficiente proporre una azione di risarcimento inammissibile per precostituire l’incompatibilità di un magistrato sgradito e, magari, ulteriori ritardi in attesa della prescrizione. Via, dunque, a “processi nei processi” ed ulteriori intasamenti nelle aule di tribunale con buona pace di razionalità ed economia processuale.

 

Sono stati ampliati, inoltre, i casi di colpa professionale, aggiungendosi espressamente al testo originario l’ipotesi della “violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove, ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontra stabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.” (il testo non è stato ancora pubblicato, ma l’atto parlamentare n.2738 approvato dal Senato aveva tale tenore).

 

La preoccupazione dei magistrati, più volte espressa nel corso del procedimento di formazione della legge, era quella che venisse caricata di conseguenze patrimoniali l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove, dato che si parla di un “travisamento del fatto e delle prove”. Il discorso si fa tecnico, ma anche un non addetto ai lavori può comprendere che  tale ipotesi di colpa professionale non può che invadere il campo della interpretazione, con la conseguenza che ogni magistrato potrebbe trovarsi ad essere perseguito per il modo in cui interpreta la legge. Perseguito, perché al procedimento di responsabilità civile seguirà anche il procedimento disciplinare.

 

Ma, in pratica, quali sono le conseguenze di queste novità? Cambierà finalmente il caos della giustizia?  

 

Cosa succederà, ad esempio, quando di fronte ad una grande industria che è sospettata di produrre emissioni inquinanti e dannose alla salute, verrà richiesto il sequestro della fabbrica ed il blocco delle attività? Il giudice, pur non preoccupandosi di addentrarsi nei meandri – spesso inintellegibili – della normativa di settore e di studiare le perizie degli esperti (in fondo è il suo lavoro), verrà attraversato dal pensiero che l’esito della sua attività di interpretazione possa non essere condiviso del giudice chiamato a controllare (la giustizia è un susseguirsi di controlli reciproci), il quale potrà avere legittime opinioni contrarie fino a giungere conclusioni opposte. Rischierà personalmente un giudizio civile e disciplinare per seguire le sue convinzioni o si attesterà su soluzioni sicure e standardizzate, magari richiedendo ulteriori approfondimenti e causando ulteriori ritardi? La mia risposta sicura è che privilegerà la prima ipotesi, ma è evidente che in questo modo si pretende dai magistrati un coraggio e un eroismo non particolarmente diffusi nel suolo italico. Per realizzare il sogno di “magistrati eroi che non sbagliano”, si rischia di burocratizzare in modo inaccettabile un sistema che già non sentiva il bisogno di burocrazia. Giurisprudenza difensiva, dicono alcuni commentatori, proprio come la medicina difensiva degli ospedali quando si prescrivono mille accertamenti spesso inutili.

 

È ineccepibile che “chi sbaglia, paghi”, ma è anche vero che solo chi decide può sbagliare. E in Italia ogni decisione, dalle più grave alla più banale, è rimessa alla valutazione della magistratura. Invece di procedere a seri aggiustamenti strutturali della macchina della giustizia, si pensa di ottenere risultati limitandosi  a porre sanzioni e richiami ai piloti di quella macchina.

 

In Francia, ad esempio, si distingue una colpa personale del giudice dalla colpa per funzionamento difettoso del servizio giudiziario (fonctionnement défectueux du service de la justice), ben comprendendo che non necessariamente ogni disfunzione del servizio giustizia è imputabile al magistrato. In Germania, l’obbligo di risarcimento da parte del giudice sorge quando, nel corso di un procedimento giurisdizionale, egli abbia cagionato un danno violando i propri doveri nell’emanazione di provvedimenti (Urteil) se la violazione commessa costituisce reato, non rientrando in queste ipotesi il rifiuto o il ritardo di esercitare le proprie funzioni, rispetti ai quali opera l’immunità giudiziaria (Richterprivilege) posta a fondamento dell’indipendenza della magistratura.

 

Ma l’Italia va di fretta e non ha tempo di riflettere troppo sulle riforme.

 

In tutto questo i cittadini ne risulteranno davvero avvantaggiati? Non sembri eccessivo affermare che l’unico vantaggio concreto di questa legge appare quello del Governo, che ha ottenuto il risultato mediatico di aver fatto “qualcosa” contro una categoria generalmente invisa al sentimento popolare, così spiazzando a destra gli originari aderenti al patto del Nazareno, i quali – a loro volta – non avevano osato tanto nemmeno nel ventennio di guida indisturbata del Paese.

 

La magistratura associata e non, compreso il sottoscritto, è imbarazzata dal dover difendere un diverso modo di essere “responsabili“ senza cadere nel tranello di apparire preoccupata da interessi di casta ed è stata scelta la via del silenzio critico, senza scioperi, né proteste eclatanti. Il messaggio è chiaro: i magistrati non rifiutano, comunque, di assumersi le loro responsabilità nei confronti dei cittadini.

 

Ma è chiaro che questa riforma è un ulteriore tassello di un quadro genrale piuttosto preoccupante che esprime la tentazione diffusa di ridurre garanzie e diritti dei cittadini a tutti i livelli (giustizia, lavoro, pubblica amministrazione, ecc.) per far ripartire l’economia.

 

Brrr che paura” sibilava sprezzante Renzi nei confronti dell’intera categoria dei magistrati, imputando agli stessi il cattivo andamento della macchina della giustizia. Molti si davano di gomito, ridacchiando quando le slide estive del Governo vantavano “finalmente” la riduzione delle ferie dei magistrati (altro luogo comune che si tradurrà in ulteriori ritardi del sistema) con decreto legge d’urgenza ad effetti differiti di un anno (circostanza quest’ultima assolutamente eccentrica nel mondo del diritto costituzionale, avallata dal precedente presidente della Repubblica). Oggi registriamo le modifiche alla responsabilità civile dei magistrati. Siamo in attesa dell’ennesimo tweet: #giudicestaisereno!

 

Ma di un giudice burocrate i cittadini non sanno che farsene.

 

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