La scienza alla ribalta
La complessità del rapporto tra l’opinione pubblica non specializzata e gli ‘esperti’ scientifici è tornata prepotentemente alla ribalta negli ultimi mesi. Per ragioni non difficili da immaginare. Negli ultimi 12 mesi, infatti, il modo in cui ciascuno di noi ha gestito parecchi aspetti essenziali della nostra routine quotidiana è stato determinato da una scelta che ognuno è stato chiamato a compiere: adeguarsi o meno alle raccomandazioni dei vari comitati scientifici, degli ‘esperti’ che hanno suggerito all’Italia il modo migliore per barcamenarsi in questa pandemia.
Non è un mistero, peraltro, che già da ben prima di marzo 2020 una parte non insignificante dell’opinione pubblica covasse un vero e proprio scetticismo antiscientifico, sia nella forma dell’adesione a teorie ‘complottiste’ che propongono spesso teorie pseudoscientifiche alternative e concorrenti, sia nella forma di una più “banale” mancanza di comprensione e disinteresse verso i metodi e la visioni del mondo proprie della ‘scienza ufficiale’.
Il caso più recente in cui la ‘comunità degli esperti’ e le istituzioni dello Stato hanno ritenuto di doversi scontrare con lo scetticismo e l’incomprensione di una parte della popolazione è, ovviamente, quello che riguarda i vaccini. In particolare quello dell’AstraZeneca.
Se gli italiani dubitano di un vaccino
In una situazione in cui si erano già ampiamente diffuse preoccupazioni sul fatto che la relativa ‘velocità’ con cui i vaccini antiCovid sono stati sviluppati potesse implicare anche una certa leggerezza nel valutarne la sicurezza, è sopraggiunta infatti la recentissima decisione di varie nazioni, e poi direttamente dell’EMA (Agenzia europea per i medicinali), di sospendere la somministrazione dei vaccini AstraZeneca al seguito di alcuni – per la verità rarissimi – casi di reazioni avverse con trombosi.
Non sono mancate le polemiche sia verso la decisione in sé sia verso la risonanza che i media hanno dato a tutta la vicenda, e in particolare ai casi di presunta reazione avversa, peraltro non ancora attribuibile in modo certo alla vaccinazione. Molti hanno ritenuto che questa fosse una vera e propria ‘pietra tombale’ sulla reputazione già compromessa del vaccino AstraZeneca, già bollato dall’opinione pubblica come ‘vaccino di serie B’ per varie ragioni: per la sua efficacia relativamente inferiore rispetto ad altri (pare che essa si attesti all’82%), per la sua quantomeno incerta capacità di protezione da alcune varianti, per il pasticcio combinato dalle autorità sanitarie circa le fasce d’età a cui sarebbe stato destinato (prima destinato solo alle persone sotto i 55 anni, poi fino ai 65, infine esteso anche agli ultrasettantenni) e per gli effetti collaterali del tutto banali e transitori ma fastidiosi che sembra provocare in una certa percentuale dei vaccinati.
Il problema di un’eventuale aumento dello scetticismo della popolazione verso AstraZeneca non è secondario: basta pensare che lo Stato ha scelto di puntare in buona parte proprio su questo vaccino, che costituisce dunque una fetta ‘importante’ delle dosi a nostra immediata disposizione. Non un intoppo trascurabile per il piano vaccinale italiano, dunque. Una delle ragioni di questa scelta è stata, evidentemente, quella legata al minor costo di una dose di AstraZeneca rispetto a quello dei vaccini a mRNA (Pfizer, Moderna), che pure sembrano essere finora più tollerati quanto a effetti collaterali ‘ordinari’ e, soprattutto, molto più efficaci.
Verrebbe da chiedersi quanto sia stata umanamente saggia l’opposizione del WTO alla campagna di richiesta di sospensione dei brevetti vaccinali condotta da alcuni paesi in via di sviluppo e sostenuta da varie ONG, che avrebbe forse consentito alle nazioni di produrre speditamente e con costi sostenibili i vaccini ritenuti più efficaci o adatti alle specifiche situazioni epidemiologiche e sanitarie delle diverse nazioni. E di rimediare con più agilità da eventuali problemi connessi ai singoli tipi di vaccino. Ancora una volta la logica del profitto e l’interesse comune del progresso dell’umanità sembrano divergere. E ancora una volta il primo sembra aver prevalso.
La ripresa del piano vaccinale tra preoccupazioni, scetticismi e speranze
Stante queste condizioni, dovrebbe essere una buona notizia per il nostro piano vaccinale il via libera dell’EMA, sopraggiunto giovedì scorso dopo qualche giorno di sospensione durante le quali sono state svolte indagini più approfondite sugli episodi di reazione avversa, alla ripresa alle vaccinazioni con AstraZeneca. Non è stata trovata una connessione causale certa, sebbene essa non possa essere esclusa per una percentuale bassissima di casi: e dato che, ad ogni modo, di percentuale bassissima si tratta, è stato detto che “i benefici superano i possibili rischi” legati all’uso di questo vaccino.
Conclusione che non implica dunque l’esclusione di qualsiasi possibile rischio, ma constata che esso è, stando a quanto sappiamo, ridotto e ampiamente minore di quello che deriva dal perdere una delle ‘armi’ a nostra disposizione contro il virus.
Alla politica e alle istituzioni educative e scientifiche adesso il compito di far ripartire il piano vaccinale, e di esorcizzare l’ipotesi di un rifiuto di massa delle popolazioni. Quale strategia comunicativa è stata scelta per questo scopo?
In molti casi l’urgenza di rendere accessibili all’opinione pubblica tutte le buone ragioni per evitare un insensato panico riguardo i vaccini ha spinto chi di vaccini se ne intende a dare il meglio di sé: molti dottori e virologi nelle proprie pagine social (e, con buona pace della vulgata di internet, anche diverse testate giornalistiche) hanno compiuto e stanno compiendo un imponente sforzo divulgativo, che ha reso disponibile alla popolazione una grande quantità di informazioni utili, trasparenti e assolutamente accessibili, l’impressione è che in altri casi la ‘retorica’ comunicativa scelta non è stata altrettanto illuminata e felice. Soprattutto da parte delle ‘istituzioni’, che più dei singoli individui dovrebbero farsi carico di comunicare in modo democratico e onesto le prassi, i criteri di valutazione e le conclusioni della comunità scientifica in merito alla questione dei vaccini.
È utile puntare tutto sulla ‘fiducia’?
Sto parlando della retorica paternalistica su cui frequentemente si è scelto di puntare, già da ben prima del caso AstraZeneca: minacce di blande ritorsioni (‘chi rinuncia finisce in fondo alla lista’), accuse di ignoranza verso chi ‘non si fida’ e invocazioni auguri che i non vaccinati vengano esclusi dalla propria professione. E soprattutto ripetuti e martellanti inviti alla ‘fiducia nella scienza’. Per accorgersi di questa strategia retorica basta guardare i numerosi manifesti pro-vax sparsi nei cartelloni della nostra città, fare una rapida ricerca su Google sull’argomento, o anche solo assistere ad una puntata di 8 e 1/2 (mi segnalano che qui il direttore generale dell’Aifa ripete la parola ‘fiducia’ almeno cinque, sei volte).
C’è da chiedere che significato e che effetti possa avere questa retorica. La fiducia, un po’ come il coraggio, «se uno non ce l’ha, mica se la può dare». Ammesso e non concesso, dunque, che ci sia una fetta significativa degli italiani che non prova fiducia nella scienza in quanto tale, che cioè rifiuta in blocco il metodo scientifico e/o mette in discussione la buona fede della comunità dei ricercatori, non cambierà certo idea per un retorico invito alla fiducia.
Questa propaganda è dunque volta semmai a ‘rassicurare’ gli incerti – mandando un messaggio semplice, rassicurante, perfino deresponsabilizzante: va tutto bene, mettetevi nelle nostre mani, non vi accadrà nulla. L’idea di “fidarsi” sembra suggerire un mettersi nelle mani delle competenze altrui a ‘scatola chiusa’.
Non è l’unico indizio che porta in questa direzione. Nei mesi scorsi, infatti, abbiamo assistito più volte a ripetute ‘demonizzazioni’ del dubbio: chi esita, chi è preoccupato che i vaccini possano provocare qualche effetto collaterale serio, chi si chiede se siano stati esaminati abbastanza, è semplicemente un ignorante, o un complottista, ecc.
Il cittadino non-competente, insomma, deve semplicemente “stare zitto e prendere appunti“, forse anche senza fare domande o avanzare perplessità. Retorica di cui è stato maestro il prof. Burioni (che per la verità negli ultimi tempi sta spendendo tutte le sue energie nel portare avanti una divulgazione chiara, trasparente e che garantisce spazio anche ai “dubbi” dei cittadini). È una visione del rapporto scienza-società in cui quest’ultima ha un ruolo totalmente passivo, che rischia di essere paternalista e fortemente elitaria.
Non solo: rischia di produrre soprattutto delle false certezze, e di tradire la natura, gli scopi e le effettive possibilità della stessa impresa scientifica.
Perché è rischioso “rassicurare” troppo
Quanto alle false certezze: è evidente a tutti che i rischi, invece, ci sono. E non perché i vaccini siano frutto di un piano satanico volto a soggiogare le popolazioni, o gli strumenti perversi di un complotto tecnocratico. I rischi ci sono perché essi pervadono sempre ogni prodotto della tecnica umana: più banalmente nessuna scelta umana è esente da rischi. A maggior ragione nel caso specifico: è vero che i vaccini anti-covid sono stati prodotti in tempo di record e che essi restano dunque inevitabilmente in qualche misura ‘sperimentali’. Questo non vuol dire che essi non siano ‘ragionevolmente sicuri’ o che non siano stati controllati. Sono stati fatti tutti i controlli possibili date le circostanze in cui ci ritroviamo. Ciò non toglie che qualche intoppo può sempre accadere, come del resto avviene anche per i farmaci ordinari e, in generale, come si rischia per ogni innovazione scientifica.
Cosa succede quando le istituzioni scientifiche e governative sembrano voler mandare un messaggio di “rischio zero” in una fase ancora prematura? La storia recente ci offre vari esempi: uno su tutti, quanto avvenuto nel caso del cosiddetto “morbo della mucca pazza”. Le istituzioni inglesi hanno scelto una politica di rassicurazione ‘totale’ nei confronti dei cittadini rivelatasi, poi, del tutto inopportuna. Oltre ai danni, ne è derivata una perdita di credito enorme nei confronti delle istituzioni e della cosiddetta ‘scienza ufficiale’ – un’ondata ancora più forte di ‘sfiducia’, insomma.
Sfiducia verso la scienza o sfiducia verso le istituzioni?
Perché forse, più che verso la ‘scienza’ in sé e verso il metodo scientifico, la “sfiducia” provata dalla gente è rivolta in realtà alle istituzioni e in generale alle élite: enti di sorveglianza, dirigenze delle case farmaceutiche, governi e centri di ricerca. Forse non si vuole mettere in dubbio la visione scientifica del mondo e mettersi nelle mani di santoni e complottisti: semmai non si crede più che a guidare le scelte di chi “ha il controllo” sia la ricerca del bene comune.
E in quest’ottica la sospensione momentanea di AstraZeneca, così come l’attenzione rivolta dai mass-media ai pochissimi eventi avversi, costituisce una buona notizia: può forse essere un indizio del fatto che il controllo c’è, che funziona, e che forse l’interesse comune ed il principio di precauzione hanno ancora modo di influenzare le scelte politiche. La popolazione stessa, del resto, sembra stia riprendendo a vaccinarsi senza grossi cali di richieste. Fa male, insomma, chi critica il risalto e l’attenzione spropositata dedicata a effetti collaterali così rari e ancora non confermati.
Trasparenza e spirito scientifico
La via della trasparenza è l’unica che possa pagare nel lungo termine, anche se può essere più ‘lenta’: questa prassi prevede di non infantilizzare la popolazione millantando certezze, ma anzi di non nascondere i possibili rischi e soprattutto che la scienza è figlia dell’umanità: quindi fallibile, perfezionabile, sempre esposta all’errore.
Per fortuna non è mancato, del resto, un forte impegno divulgativo trasparente ed esaustivo sia da parte di alcuni giornali (non tutti, per sfortuna: altri hanno preferito toni solamente sensazionalistici) sia da parte, come si diceva, di singoli medici e scienziati: una divulgazione volta a stimolare la ‘comprensione’ dei cittadini prima ancora della loro ‘fiducia’, lasciando che questa derivi naturalmente dalla prima.
La scienza moderna è nata e continua ad essere figlia non delle certezze e dell’ossequio verso i ‘sapienti’, ma della critica delle tradizioni, di tutto ciò che viene spacciato per ‘certo’ e indiscutibile.
Nessuna domanda, nessun dubbio ragionevolmente fondato può essere sprezzantemente ignorato dalla ricerca scientifica; al contrario, la scienza osa mettere in discussione tutto, e lo fa attraverso un metodo che procede per prove ed errori e che arriva sempre a risultati provvisori e perfezionabili. Del resto gli scienziati tutto questo lo sanno benissimo, e non trattano i frutti della propria ricerca come verità salde o prodotti infallibili – guai se così non fosse: sarebbe la fine dell’impresa scientifica. E quindi testano, verificano, mettono alla prova le proprie idee, cercano i punti deboli delle proprie teorie, sono sempre all’erta sui possibili esiti imprevisti. Ed è proprio per questo che, forse, possiamo davvero provare a fidarci.
PS: Se volete un articolo davvero, ma davvero completo ed esaustivo sulle caratteristiche del vaccino AstraZeneca, lo trovate qua.
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