domenica 08 maggio 2016 – Ascensione
[46] E disse loro “Così sta scritto che il Cristo avrebbe patito e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno [47] e che nel suo nome sarebbe stata predicata la conversione in vista della remissione dei peccati a tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme. [48] Voi siete testimoni di questo. [49] Ed ecco, io mando su di voi la promessa del Padre mio; ma voi restate nella città, finché non sarete rivestiti di potenza dall’alto”. [50] Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. [51] E avvenne che, mentre li benediceva, si separò da loro ed era portato verso il cielo. [52] Ed essi, dopo essersi prostrati davanti a lui, ritornarono a Gerusalemme con grande gioia; [53] ed erano continuamente nel tempio a benedire Dio. |
Il brano di questa settimana costituisce la parte finale dell’ultimo capitolo del Vangelo di Luca e, dopo le apparizioni post-pasquali ai discepoli di Emmaus e agli apostoli, segna il definitivo distacco di Gesù dai suoi discepoli e il compimento del percorso che lo restituisce alla perfetta comunione con il Padre in una dimensione di trascendenza e di glorificazione, ma segna al tempo stesso l’inizio della vita della Chiesa.
Le ultime indicazioni per i discepoli sono tutte a partire da una ermeneutica non solo delle parole di Gesù nel tempo in cui era con loro (“sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi” v. 44) ma anche delle Scritture, grazie all’apertura delle loro menti “all’intelligenza delle Scritture” che Egli compie in loro.
Questo stesso tema dell’intelligenza delle Scritture, che caratterizza il finale del Vangelo di Luca e lo differenzia da quello degli altri sinottici, era già stato focalizzato nell’incontro con i discepoli di Emmaus (“E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” v. 27) e viene qui ripreso a sottolineare come questa interpretazione sia essenziale e precedente a qualsiasi testimonianza: non ci può essere missionarietà senza ascolto della Parola e senza la presenza operante dello Spirito.
Gesù che spiega le Scritture, interpretandole alla luce della Pasqua, ne diventa il primo criterio di interpretazione e la chiave di lettura. Solo questa rilettura delle Scritture e la loro reinterpretazione in ogni tempo e in ogni spazio metterà i discepoli nelle condizioni di svolgere il loro compito: proclamare a tutti la conversione in vista della remissione dei peccati.
La testimonianza cui sono fortemente chiamati i discepoli riporta ad una dimensione terrena. Nonostante l’evento soprannaturale di cui si parli, l’invito è a non chiudersi in una dimensione spiritualistica della fede ma ad immergersi profondamente nel mondo “Perché state a guardare il cielo? (Atti 1,11)”.
Anzi è proprio Gesù che “conduce fuori” e li invita a uscire. I discepoli non sono chiamati a chiudersi e allontanarsi dal mondo ma a vivere profondamente nel mondo nella compagnia degli uomini così come Gesù stesso aveva fatto.
Persino negli ultimi istanti della sua permanenza tra gli uomini Gesù ha testimoniato il suo amore totale per la terra. Per tornare al Padre, Egli non sceglie Gerusalemme ma Betania, luogo in cui, negli anni terreni, ha condiviso con i suoi discepoli alcuni del momenti più intensi della sua esperienza.
L’ultimo gesto di Gesù, prima di staccarsi da terra, è una benedizione. “In ebraico ‘benedire’ rimanda alla forza vitale, è dare una forza vitale” (Grill, L’opera di Luca, EDB) Ricolmi di tale forza, i discepoli possono ora fare ritorno nella città degli uomini e manifestarvi la loro incontenibile gioia. Una gioia che nasce dall’interpretare l’assenza di Gesù non come sottrazione, ma, piuttosto, come una presenza nuova. Tornando a Gerusalemme, i discepoli riceveranno il dono dello Spirito; quello Spirito che, come ci ricorda la comunità giovannea, ci insegna ogni cosa e ci ricorda tutto ciò che Gesù ha detto (Gv 14,26).
Il Vangelo di Luca si era aperto con Zaccaria nel tempio di Gerusalemme che pronuncia il suo Benedictus e con la lode di Maria nel Magnificat all’insegna della gioia di chi vede realizzata la promessa di salvezza e si chiude sempre nel tempio di Gerusalemme con la gioia e la benedizione dei discepoli consapevoli che tutto ciò che hanno ricevuto è grazia.
Luisa Amenta
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